Il mito cristiano
Il mito cristiano è un mito scritto: esiste un libro “sacro” in quanto contiene concetti sacri. Sacro significa ciò che è puro e non può essere violato. Questo libro è la Bibbia. Non si può sviluppare lo Spirito senza recuperare nella prospettiva “del senso nella psiche” i valori che nella religione sono contenuti come proiezione fisiologica. Oggi il mondo è cambiato in relazione alla tecnologia e l’uomo si trova in una dimensione di alienazione. L’uomo invece di rivolgersi al proprio interno è proiettato verso l’esterno. Dal punto di vista psicologico Dio è la proiezione dell’uomo ed è una proiezione fisiologica in quanto l’uomo proietta in Dio le sue esigenze di conoscere, spiegare e darsi delle regole. Oggi si può ritirare la proiezione e far sì che essa diventi coscienza personale. Il Dio cristiano è il Dio dell’amore poiché Dio diventa, ad un certo punto, “visibile” e per rendersi visibile diventa uomo. Questo sul piano psicologico insegna che la vita nasce da noi e che solo ciò che nasce da noi è “Divino”. Rendersi visibili è dunque l’atto d’amore più grande che possiamo fare all’altro e ci fa uscire dalla proiezione in quanto io non penso più se l’altro mi ama o meno ma gli chiedo e so se mi ama. Per sviluppare lo Spirito occorre una biologia soddisfatta. Da qui nasce l’idea secondo la quale il collettivo deve produrre affinché tutti abbiano le basi per soddisfare le proprie necessità e i propri bisogni. La creazione avviene dal nulla: prima di ogni opera non c’è niente e chi vuole creare partendo da una materia non crea, ma trasforma. Dal punto di vista psicologico si può dire che dal “Non-Essere” si passa “All’-Essere” ovvero dall’Inconscio alla Coscienza. Questo passaggio dall’inconscio alla conoscenza di sé avviene mediante la Sensazione. Dalla sensazione si crea un percorso di pensiero e azione. Il senso dell’immagine di Dio tradotto sul piano psicologico diventa l’Uomo capace di essere soggetto e come soggetto l’uomo crea a partire da sé. L’individualità consapevole e quindi matura è quella che si concepisce come capace di darsi delle regole per sé e nella relazione con l’altro.
La regola comporta un altro elemento importante che è quello della responsabilità. Le regole hanno origine “divina”: Dio le ha date a Mosè e allora il concetto di Trinità diviene: Dio è la potenza, il Cristo è l’atto e lo Spirito Santo è l’acquisizione del valore. L’amore come Spirito nasce dal sé e non è in funzione dell’oggetto in quanto questo è solo una proiezione fisiologica. Col cristianesimo l’amore diventa qualcosa di interno che si rivela spontaneamente. L’amore ha bisogno della spontaneità e di essere interiore. Questa è la rivoluzione che il cristianesimo ha dato inventando la Trinità. L’atto d’amore non è nel sacrificio e nel dolore ma nella gioia. La relazione non nasce più come patto bensì come sentimento dall’interno. Il cristianesimo scopre l’interiorità e dall’individualità si dà dignità all’uomo per quello che è. La persona è unica, irripetibile, originale e pertanto ha una sua sacralità che non è paragonabile a nessuno. Non occorre dunque un modello per migliorare se stessi. Il miglioramento nasce nella dimensione interiore dell’amore. Il segreto del proprio “successo”, al di là di quello fortuito, è il fare da e per se stessi. All’inizio di ogni opera si parte da zero e questo genera frustrazione. Tuttavia occorre attraversare il “tunnel” per arrivare alla luce. Nel cammino si è soli e quello che ci manda avanti è il piacere di ciò che si fa. Da qui la metafora: solo chi ama ciò che fa ha successo. Nel linguaggio psicologico possiamo tradurre i tre momenti essenziali della Trinità: l’Essere (il Sé); la Manifestazione; la Comunicazione. Ci sono dei segnali ad esempio la sensazione, i sentimenti, i sogni che non ci danno ancora il significato di quello che ci accade. Attraverso la riflessione arriviamo a capire il significato dei segnali interiori e così formuliamo il pensiero personale e nessuno, tranne noi, conosce né vede. Questa è la manifestazione e/o la coscienza di sé. Questa poi la comunichiamo rendendo gli altri partecipi del nostro essere. Ancora prima del pensiero ci vuole un angelo e quest’angelo è la riflessione. Così quando non sviluppiamo il sentimento d’amore non possiamo incontrare l’altro. L’incontro non avviene perché l’altro è buono/a, bello/a, ma perché c’è il bisogno, l’esigenza, che è dentro di noi e fa parte della nostra natura. Se il mio amore me lo tengo per me e solo per me non creo nulla. Per creare, l’amore deve diventare apertura e andare verso l’altro. Abitualmente lo si vive come dipendenza dall’altro. Ma la persona deve attivarsi, diventare autonoma, per essere capace di amare. La sapienza non nasce dal rapporto con l’altro, ma dalla riflessione che è amore. Quando riflettiamo viviamo l’amore in noi stessi e siamo contenti perché possiamo, solo così, scoprire quel qualcosa che ci illumina la vita. Anche la religione è importante perché attraverso di essa facciamo la proiezione fisiologica che ci permette di comprendere chi si è. L’uomo e la donna attraverso l’oggetto e la proiezione sull’oggetto scoprono l’amore. Questa è l’importanza della relazione e dell’altro. L’amore, in senso psicologico, è la motivazione interna che nasce da noi, ci trasforma, ci apre al mondo e ci attiva per andare nel mondo. L’amore è di chi si apre e l’apertura significa anche rischio. Il fare qualcosa che ci interessa non significa avere successo o meno ma è solo un fare per se stessi. Questa è la vera possibilità di avere successo. L’uomo può così diventare autonomo, capace di prendere una decisione a partire dal sé. E’ questo il senso della libertà. Per fare questo devi sapere chi sei, educarti all’interiorità e alla coerenza dell’essere quello che dici di voler essere. La scelta è il senso della libertà. Nella cosiddetta “Regola d’Oro”: “fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te o non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” è contenuto il fondamento dell’amore.
Occorre sviluppare le qualità necessarie per amare: la pazienza, la tolleranza e la carità. Si osserva che l’atteggiamento comune è invece quello di dire che è sempre colpa dell’altro. Occorre abbandonare l’idea: “se tu sei… allora io…” e indirizzarci verso: “io comincio a cambiare…”. Si ha così un amore individuale senza oggetto e la capacità di manifestarsi per quello che si è ed essere spontanei. Questo tipo di amore fa cogliere un limite che è quello dell’incompletezza e che affinché io possa realizzare me stesso devo comunque andare incontro all’altro che è uno diverso da me. Nel momento in cui si coglie fino in fondo la propria individualità si percepisce il bisogno di maternità/paternità ed il limite dell’essere solo e si concepisce la necessità dell’altro. Possiamo indicare alcuni “nemici” dell’amore nel nostro quotidiano: 1) la pretesa, l’atteggiamento di chi pretende che l’altro lo ami. E’ un partire dal TU ed è un atteggiamento infantile; 2) la prevaricazione, colui che ti dice quello che devi fare o che devi essere; 3) la proiezione che si manifesta nel “io penso che tu pensi” oppure “so quello che tu pensi”; 4) la paranoia, caratterizzata dal fatto che è sempre colpa dell’altro; 5) l’aspettativa, che possiamo indicare come la pretesa di chi si aspetta che l’altro faccia quello che lui si aspetta; 6) l’egotismo, dove c’è la stima eccessiva di sé che induce ad attribuire valore solo alle proprie esperienze e a parlare esclusivamente di sé. Ci accorgiamo così che la relazione richiede una affinità. A volte la costruzione della relazione risulta impossibile per le vaste diversità tra i soggetti che escludono ogni regola e cooperazione.
Diceva V.Frankl nella sua esperienza nei campi di concentramento nazisti: “Quando ti rendi conto che non puoi cambiare il destino e che non puoi cambiare l’altro non ti rimane che cambiare te stesso”. Così se volete cambiare l’altro cambiate voi stessi per cui o l’altro cambia o si separa. Il fatto è che si fa fatica a cambiare se stessi allora si cerca di cambiare l’altro. Il cambiamento va inteso come un atto creativo, motivazionale e interiore. L’amore si manifesta nelle piccole cose. Nella relazione spesso non c’è la spontaneità bensì la mediazione che manifesta solo la mia volontà. Nella coppia puoi riuscire a comprendere i tuoi modi di essere, le tue ombre, le idee onnipotenti, le fantasie e le proiezioni che necessitano del rapportarsi con l’altro per essere comprese. L’amore non è sacrificio ma costruire insieme: ad esempio se voglio andare in un posto e l’altro non vuole, posso sacrificare il mio desiderio per corrispondere al suo. Questo però richiede la reciprocità. Lo Spirito personale si caratterizza come coscienza di sé quando si conosce sé stesso. Una dimensione spirituale che fa dell’individuo colui che sa chi è, sa cosa vuole, che direzione prendere, conosce i suoi pregi o difetti e le sue ombre. Coscienza di sé significa conoscere e la conoscenza avviene solo attraverso il lavoro che nasce dalla percezione e che poi diventa coscienza e conoscenza. La coscienza è l’immediato, il percepito: ciò che è in quanto si è, compresa l’esperienza. La conoscenza è dare senso al nostro vissuto. Questo richiede un lavoro intrapsichico che è lo Spirito. Lo Spirito cristiano non può essere intellettuale perché passa attraverso la sensibilità. L’intelletto serve a dare significato alla propria esperienza. Senza intelletto il vissuto è cieco e saremmo vittime delle nostre emozioni. L’intelletto senza sensibilità è vuoto e con l’intelletto si può giustificare tutto. Possiamo distinguere tra ragione e pensiero: la ragione è l’intelletto che mette ordine a ciò che è esterno; il pensiero è il frutto di un processo che passa dall’interno e attraversa l’esperienza. Riflettere significa flettersi in sé, parlare di sé.
L’uomo è solo con se stesso. Ognuno deve trovare i propri valori e ritualizzarli. Il problema di oggi è come conservare il valore e viverlo creando una spiritualità interiore e la capacità di esprimere un pensiero che nasca dalla propria interiorità. In realtà sì assiste sempre più ad un pensiero in proiezione. Con lo psicodramma fatto sul tema dell’Annunciazione abbiamo potuto comprendere che vi è la necessità di una definizione dell’individuo attraverso la coscienza di sé. Se l’inconscio è Dio, la coscienza è la Madonna che accoglie e definisce il divino con la Sensazione. Quando la Sensazione si manifesta diventa pensiero: il Gesù manifesto. Questo è il senso dell’annunciazione tradotto in termini psicologici.
Il mito cristiano e la sua rappresentazione
L’obbiettivo è il passaggio dalla versione cattolica del mito cristiano ad una prospettiva personale che passi attraverso il proprio sentire. A tal fine ci si è avvalsi del contributo delle rappresentazioni artistiche pittoriche del Vangelo presentateci dalla Dolcetti. Ci si è anche avvalsi dell’ausilio di uno strumento di rappresentazione quale lo psicodramma. Esplicitare il nostro vissuto presenta un doppio vantaggio: 1) esplica se stessi come momento della personalizzazione; 2) nella comunicazione il vissuto personalizzato viene messo in relazione. Questo permette di sviluppare l’individualità nella relazione. È necessario che ciò che accade nel gruppo, sul momento comune, venga poi riflettuto, rielaborato e comunicato. Osserviamo come il nostro vivere sia in una doppia dimensione: di recettivi e stimolanti. Osserviamo anche come nel mondo odierno l’intellettualismo e l’astrazione sono sempre più ampi, diffusi e ciò determina una riduzione della percezione del limite e della realtà. Esempi di astrazioni, attualmente, sono: internet, la telefonia, la televisione e la comunicazione via mail. Attraverso lo psicodramma abbiamo visto come l’uomo ha la tendenza a non cogliere la verità del suo essere ma è orientato piuttosto al riferito, ovvero a ciò che non sa e che non ha constatato e finisce nell’inevitabile prefigurazione di un qualcosa che non c’è. Mentre quello che deve esserci è l’esperienza. Nel quotidiano facciamo dipendere le nostre scelte dalle prefigurazioni e, facendo ciò, si salta la dimensione della sensazione poiché la scelta può essere fatta soltanto al presente. La prefigurazione è futuribile; la sensazione è reale. Quando vuoi essere qualcosa di diverso da te stesso perché pensi che sia meglio di te, ti perderai. La legge naturale infatti è: “puoi essere solo te stesso “. Si è anche riflettuto sul tema dell’amore. L’amore umano che è un amore condizionato. L’uomo e la donna quando fanno il giuramento di fedeltà, pongono una condizione che è il rispetto di questa reciproca regola. L’amore incondizionato è un amore impossibile. Oggi con l’intellettualismo l’amore incondizionato si è tradotto con “faccio quello che voglio”. Questo è diventato il costume e il suo valore è quello del consumo. Cristo dice: “Dio è amore” cioè sentimento e la condotta non è più determinata da una regola posta da un altro ma è determinata da una motivazione interna alla persona che si chiama amore. Questa è la rivoluzione. Questo è Dio come amore.
Nasce così quello che si è chiamato: “Dialettica dell’Amare” dove per primo c’è il sentimento poi la regola ed infine il sentimento regolamentato. Questa è l’unica possibilità di vivere il sentimento dal punto di vista soggettivo. Amore non è amare qualcuno, non è “senza te non posso vivere” perché se così fosse significherebbe non amare ma essere dipendenti. Nessuno se non se stessi può dire chi siamo e cosa fare. Se ancora non ci conosciamo non possiamo amarci e chi ci dà le istruzioni impedisce la conoscenza di se stessi. Il vero genitore è quello che guida e non ti dice cosa e/o chi devi essere. Dio biblico è la domanda: “Chi sono?”, “Dove sono?” e “Che cosa faccio?”. Domande che ognuno di noi deve porsi. Altro argomento trattato è stato quello sul talento che si è individuato nella disposizione ad un qualcosa. La disposizione è l’essere naturale e deve essere all’interno della persona. La disposizione diventa motivazione e può essere conosciuta dalla persona. Il problema è come conoscerla. La si può conoscere solo attraverso l’esperire. La disposizione non dipende dalla propria volontà ma da quello che si è. Per conoscere dobbiamo fare qualche cosa ma non è detto che quello che faccio sia già la mia disposizione. Tra le tante cose che si fanno una di queste è quella per la quale si è portati e la si riconosce nella gioia di farla. Fare un qualcosa che viene dalla propria disposizione verrà sicuramente meglio rispetto ad altra cosa fatta in mancanza di disposizione. Una volta scoperta la propria disposizione occorre la fase dello sviluppo che avviene con il lavoro. Alla fine di tutto ciò si riesce a creare. Creare significa creare-per-sé e non per-l’altro. Affinché si possa creare occorre una introversione, un ritorno all’interiorità. Altro elemento fondamentale per creare è limitare l’atteggiamento razionale (la ragione). Non si crea con la ragione ma con l’immaginazione e quando si crea non si sa cosa accade. Non si crea per un fine ma per un qualcosa che preme da dentro. La mentalità comune è creare qualcosa per dimostrare qualcosa, ma la vera creazione non può essere dimostrativa perché è solo in prospettiva. Occorre anche saper vivere il momento scuro per poi creare. Il momento scuro, nel soggetto talentuoso, è lo sviluppo della capacità di giungere alla comprensione del proprio talento. La conoscenza di sé non è solo un fatto psicologico ma anche un fatto attivo che porta all’azione in quanto il soggetto si riconosce nell’opera che fa. L’autostima viene dall’opera che facciamo e non da ciò che io penso di me. Da un punto di vista psicologico possiamo vedere Dio come la proiezione fisiologica che ci permette di conoscere quello che è dentro di sè. La proiezione può diventare coscienza di sé quando la ritiriamo e allora diventa il Dio interiore, un nostro modo di essere. Gesù fonda il cambiamento sulla fede (fiducia) e se non hai fede non guarisci in quanto non puoi cambiare. L’atteggiamento interiore fondamentale per il cambiamento comporta anche il riconoscimento del proprio peccato, l’errore. Essere fuori dalla propria coscienza porta ad essere paralitici, incapaci di muoversi e di avere una direzione nell’esistenza quotidiana. Gesù che guarisce è la presenza dello Spirito ovvero la coscienza dell’uomo, la consapevolezza che porta la guarigione quale liberazione dagli errori.
La possibilità di passare da una posizione di paralisi ad una di movimento libera dal condizionamento esterno e permette di concepire il bene in funzione di quello che si è. Gesù rappresenta il senso del totale: uomo e donna. Gesù è capace di essere severo, forte e potente ma anche tenero. L’unione di forza e tenerezza significa avere la totalità dell’essere. L’obiettivo è diventare l’uno come persona che unisce la caratteristica femminile e maschile. Affinché tutto questo diventi il reale per il sé, occorre saper fare quel percorso interiore che indichiamo: Sensazione-Sentire-Coscienza. La realizzazione di sé significa cogliere il senso della propria vita e dare il senso alla vita stessa. Spirito significa cambiare il modo di sentire e il modo di essere. Non parliamo di “speranza” che, come la definisce Goethe, è la stampella che ti fa cadere ma di possibilità che implica un lavoro ed una concretezza. Oggi il mondo va nella direzione di una individualità che cerca la solidarietà e la fratellanza ma deve per forza passare attraverso l’individualità. Anche l’amore va nella direzione dell’individualità nel senso che non puoi amare un altro se non sei capace di amare e per essere capace devi saper amare te stesso. Per saper amare devi sapere chi sei. Altrimenti ti sposi, come facevano una volta, per necessità sociale e biologica. Il peccato significa la non-coerenza e la non-fedeltà ai propri valori e la sofferenza è inevitabile in quanto appartiene al peccato. Se non riconosci il tuo peccato non puoi cambiare. Per l’individuo il perdono deve essere la capacità di comprendere il proprio errore. Il perdono è un processo psichico-emotivo, mentale intrapsichico. Devi riconoscere il tuo errore e ammetterlo e non rimuoverlo altrimenti non ci si può correggere. Ti devi pentire e soffrire per il tuo errore in quanto senza sofferenza non si cambia. Ogni errore comporta la punizione ossia accettare gli elementi negativi e le conseguenze dei nostri errori. Il prezzo è nell’errore stesso ed è adeguato all’errore. Vi è poi il cambiamento che consiste nello sviluppare la propria coscienza attraverso il percorso che permette di cambiare. Quando ho fatto un errore c’è una “carenza” nella psiche. La fase del cambiamento richiede: il sentire, la coscienza, il progetto e l’azione. Questo è il percorso intrapsichico. Inoltre occorre saper accettare la possibilità di sbagliare e vivere la sofferenza del proprio errore. Riconoscere questa realtà significa conoscere l’umanità. Chi non vuole sbagliare entra nella dimensione del perfetto e nel delirio paranoide. La possibilità di errore si può ridurre con il miglioramento ma non si può eliminare. Capire cosa mi ha portato all’errore richiede poi il comprendere la mia carenza psichica-culturale. L’inferno è la sofferenza per i propri errori; il paradiso è quando sei consapevole e ti godi la vita. Il bestemmiare diventa inutile in quanto la bestemmia rappresenta il capo espiatorio, il Padre. La psicologia del capo espiatorio è che la colpa è sempre dell’altro così tu non ti correggi mai. Ricordiamoci che l’altro non può essere come io lo voglio! E’ una situazione patologica. Se l’atro fosse come io lo voglio non esisterebbe in quanto è solo una mia immagine. Diverrebbe IO che amo l’immagine di me stesso e quindi il narcisismo patologico. Tutte le emozioni generano confusione in quanto non sappiamo dare loro un senso. Ad esempio il rancore diventa aggressività, allontanamento, impossibilità a stabilire un rapporto d’amore, d’affetto, di amicizia. Elaborato il rancore e colto il senso, assumo una distanza, un comportamento corretto e salvo le altre cose buone che ci sono. Abbiamo anche fatto esperienza, al termine di uno psicodramma, della tendenza del nostro gruppo alla precognizione: abbiamo assistito ad una rappresentazione ma già in testa c’era un’aspettativa su quello che sarebbe dovuto accadere. Si è vissuta quindi una non realtà, una realtà solo di pensiero. Quello che in psicologia si chiama “Pensiero-prevenuto” è considerato nevrotico poiché non coglie la realtà per quella che è. Il conoscere prima della realtà va a deformare la realtà stessa. Questa è una delle ragioni per le quali è difficile capirsi tra individui ed è anche più difficile quando si ha a che fare con le parole anziché con la rappresentazione in quanto la stessa parola può avere significati diversi in funzione delle persone che ascoltano.
L’insegnamento è di vedere ciò che è per quello che è; dopo c’è tutto il resto. Al riguardo si osserva: Voi vedete il mare e magari dite: “C’è il mare” oppure dite “Il mare è bello”. Se si dice il mare è bello si va già oltre la realtà e cioè si dà un giudizio che esprime un concetto personale. Capita così che quando ascoltiamo qualcosa e non lo capiamo attribuiamo noi un significato alle parole dell’altro. Il problema è di non farsi trasportare dall’aspettativa e di non leggere la realtà in funzione della nostra aspettativa. L’atteggiamento Zen è quello di non aspettarsi niente dall’altro vivendo così la realtà senza aspettativa, consapevoli del proprio desiderio e basta. L’aspettativa non è una patologia, è un comportamento. Essere consapevoli che può non verificarsi un qualcosa e resto comunque attivo. Il ristrutturare è inteso come il processo necessario nel caso di una aspettativa che non si è realizzata e che richiede la virtù della pazienza. Ad esempio nella dimensione della sessualità, in una coppia, può capitare che il desiderio non corrisponda sicché uno dei due dovrà essere paziente e riconoscere che non sempre la corrispondenza ci può essere e questa è una condizione normale non patologica. Abitualmente l’individuo diventa invece aggressivo e si sviluppa la sottomissione dell’altro che si manifesta nel: “Lo faccio per te”. Non dimentichiamo che pazienza significa “soffrire” in quanto il mio desiderio non è corrisposto. L’individuo deve sapersi adeguare al contesto in cui vive altrimenti svilupperà malattie psicosomatiche. L’adeguamento non è qualcosa di scontato. Attraverso un ulteriore approfondimento dello psicodramma si è potuto osservare come spesso l’amore venga vissuto come paura di rimanere solo/a o come colpa della propria autonomia. Il saper Stare soli e l’Essere soli dev’essere un obiettivo altrimenti non si può amare e diventa dipendenza. Ci hanno educati al: “Se sei solo, sei finito”. La condizione dell’essere solo deve essere la condizione fondamentale e nell’essere solo occorre comunque riconoscere il senso del limite. L’amore incomincia nella ricerca dell’altro, che non va vista come lui mi deve dare quello che non ho. L’altro serve come verifica del sé e questa verifica è possibile purché non si parta dalla condizione del chi ha ragione e chi ha torto ma dalla condizione che ognuno ha la propria conoscenza e mettendola in comune c’è la possibilità di conoscere un po’ di più. In questa società spesso manca l’Essere-solo come base della vita e non si concepisce la separazione come un qualcosa che fa parte dell’esistenza. Figli e genitori devono comunque separarsi. Questa è una dimensione esistenziale che deve avvenire di necessità. L’autonomia passa attraverso il lavoro e la capacità di vivere il bene e il male in sé. Andarsene e diventare autonomi non significa non voler più bene ai propri genitori ma volergliene in modo diverso e dove il fondamento diventa il proprio bene e la capacità di voler bene in quanto tale. Questo permette di voler bene ad un’altra persona. Chiunque si distacca dall’origine va incontro all’ignoto, a ciò che non si conosce e questo produce la paura della non conoscenza. Ma questo è lo sperimentare la vita. Con Gesù nasce l’individualità e questa è la differenza tra il vecchio e il nuovo testamento: il Vangelo. Nel Vangelo Gesù esprime la sua individualità quando dice: “Io sono colui che sono”. Quando si sente dire: “Lo fa lui, allora lo faccio anch’io” ci troviamo di fronte alla mancata concezione e percezione dell’individualità. Ecco, l’invidia nasce quando manca il senso della decisione personale. L’invidia non c’è quando scelgo da e per me. Dobbiamo essere capaci di diventare ciò che pretendiamo che gli altri siano al posto nostro. È importante essere consapevoli di se stessi e comprendere che l’altro è anche lui autocoscienza e quindi non lo possiamo prevaricare e/ o invadere. Il rispetto è riconoscere l’altro come essere consapevole di sé e che è diverso da me.
Tutto questo richiede un nuovo modo di essere e stare insieme. Da qui si comprende il discorso sulla fenomenologia che dà importanza non al fuori ma al fenomeno come interno, per arrivare poi all’esistenzialismo che afferma: “Ogni uomo è solo in questa faccia della terra”.
Ed ora come ci rapportiamo con l’altro? Che relazione stabiliamo? Chi ci dice come deve essere la relazione?
Ognuno da sé deve costruire la propria relazione ma per far questo deve prima sapere chi è e cosa vuole. Questa è la vera rivoluzione.