Due casi clinici, trattati con il training autogeno
Primo caso: il soggetto è una donna di trentacinque anni, B.I., di Osimo (Ancona) e svolge la professione di fisioterapista. L’apprendimento del TA ha avuto una durata di tre mesi con incontri quindicinali. Il soggetto si presenta incuriosito e motivato verso questa esperienza poiché da tempo, si trova in una situazione di ansietà il cui significato non riesce a definire. Iniziamo il percorso di allenamento e già, dai primi incontri, il soggetto presenta un emergere di emozioni e immagini che fanno cogliere la sua situazione, non patologica, di accumulo di stress. All’inizio B.I. manifesta la difficoltà, come sensazione di fastidio, di sapere che nella stanza ci sono io quando deve eseguire il training. Prendiamo così la decisione che in quel momento nel quale eseguirà il TA, potrà restare da sola nella stanza. Durante i primi esercizi prova fatica a tenere gli occhi chiusi e non ricorda le immagini visualizzate durante l’esecuzione del TA. Si evidenzia un atteggiamento di aspettativa e del non lasciare accadere che caratterizza l’esecuzione del TA. Nei primi quindici giorni di allenamento al TA il soggetto non ha sogni da esporre, non li ricorda. Lentamente le immagini cominciano ad essere ricordate. Il suoi protocolli, al termine dei vari incontri, presentano un approccio al TA dapprima caratterizzato da una certa, sia pur limitata, resistenza nell’esecuzione dell’esercizio, mentre è più aperta al colloquio sui fatti che le sono accaduti durante la giornata. Inoltre il soggetto mostra una certa volontà anche a raccontare della sua famiglia e dei suoi rapporti con il partner, istaurando un atteggiamento di fiducia con chi le sta insegnando il metodo. Dai primi esercizi il soggetto presenta molte scariche autogene che la riconducono anche a un suo problema fisico: un acufene ad un orecchio. Con il training autogeno questo fastidio viene amplificato per poi scomparire durante il proseguo dell’esercizio. Successivamente racconta di percepire ancora il fastidio all’orecchio durante la giornata ma di dare allo stesso un peso differente rispetto a prima. Ne è meno condizionata pur ovviamente rimanendo il disturbo in quanto cronico. Le scariche autogene che il soggetto più frequentemente presenta sono: pressione alle mani e sotto gli avampiedi. Parlandone si può comprendere “l’origine” di tali scariche dal momento che, durante lo svolgimento della sua attività professionale di fisioterapista, utilizza le mani per massaggiare facendo anche pressione sui suoi avampiedi. Altre scariche frequenti sono: pesantezza alle mani e alla testa, forte calore alla schiena e sopra i polsi. A distanza di un esercizio dall’altro, praticato con pause di quindici giorni, la paziente sviluppa una importante sensibilità ad immagini e colori. I colori predominanti sono il blu, il bianco, l’arancione, il giallo ed il verde. Blu e verde dominano l’intera sequenza degli esercizi. Anche le immagini cominciano ad essere caratterizzanti nello svolgimento del TA. Le più frequenti la vedono in ambienti aperti dove c’è sole, la giornata è serena, il cielo blu, e tutt’intorno ci sono alberi verdi. Lei osserva tutto ciò sempre da un punto appartato rispetto al fuori ed in penombra. Con le informazioni acquisite dai suoi esercizi, con le associazioni libere e i racconti che emergono spontanei dal soggetto, si delinea un quadro chiaro di un suo stato di “crisi” che riguarda principalmente il suo lavoro e la sua relazione di coppia. Il soggetto racconta che nel lavoro si trova in un momento difficile. Non sa più se quello che sta facendo sia veramente ciò che vuole. Riconosce che è quello che sa fare e per cui ha studiato ma non è più tanto motivata; a ciò si aggiungono i difficili rapporti con l’azienda sanitaria per la quale lavora. Si sente bloccata e prova rabbia verso se stessa perché le sembra di rimanere ferma ma del resto, aggiunge, non sa cosa fare. Dai vissuti del TA si deduce una sua immobilità ad agire per se stessa, aspettando invece, che gli altri le trovino la soluzione. Il colore rosso che nel TA compare spesso e indica, nel caso in questione, il desiderio di attivazione che ancora non è giunto a maturazione. Questo la fa sentire incapace, irrequieta, quasi una nullità. Cerchiamo allora di dare al tutto un corretto approccio, invitando il soggetto innanzitutto a vivere le emozioni che lei sente, non come negative e spiacevoli come lei le definisce, ma utili per riflettere e sviluppare quelle funzioni che le permettano di diventare autonoma nel pensiero e nell’agire. A distanza di poco tempo il soggetto mi racconta che finalmente è riuscita da sola e di sua iniziativa, senza chiedere conferma agli altri, a fare un’esperienza che da molto tempo desiderava ma che non aveva mai avuto il coraggio di intraprendere. Si è fatta assumere per due fine settimana presso una pasticceria, addetta alla preparazione dei dolci; passione questa che lei coltivava da sempre e che fino ad oggi era rimasta relegata nell’ambito familiare. Ha potuto così sperimentare come l’attivarsi per realizzare un proprio desiderio comporti un progetto che solo lei, con il suo sentire, poteva portare avanti nei modi e tempi da lei stessa ritenuti opportuni. Mi racconta di essersi molto divertita ma che non cambierebbe il suo lavoro di fisioterapista con quello di pasticciera. Così attraverso la percezione del desiderio che l’allenamento al TA le ha permesso di recuperare e l’attivazione personale, ha ritrovato la fiducia in sé e la comprensione di ciò che per lei era meglio e che voleva: continuare il suo lavoro di fisioterapista cercando di ampliare le conoscenze in materia, per aprire, un giorno, una sua attività professionale autonoma. Quanto al rapporto con il partner, il soggetto solleva il problema delle incomprensioni, comuni alle coppie. La difficoltà a farsi capire e l’atteggiamento di lei che oggi riconosce non corretto per se stessa: seguire le iniziative del ragazzo e farsi da lui trasportare in situazioni nelle quali poi, si trova a vivere sensazioni di pesantezza, noia. Cerchiamo di arrivare a comprendere come sia importante partire dal “sentire” per avere coscienza di sé e formulare così un pensiero che porti ad una azione consapevole, evitando di rimanere così sull’altro, sviluppando l’atteggiamento del: in sé, per sé, per l’altro. In questo modo si potranno anche condividere esperienze in comune, ma, nella consapevolezza che tali esperienze potranno anche non soddisfarci ed allora decideremo se e quando essere partecipi o meno. Questo ha permesso al soggetto di rivedere il suo atteggiamento così da trovare serenità e un senso di libertà, riuscendo anche a dire no ad alcuni inviti formulati dal partner, senza che ciò creasse in loro discussioni di sorta. Stiamo per giungere al termine dei nostri incontri quando il soggetto avverte la necessità di scrivermi chiedendo di anticipare il nostro incontro perché ha fatto un sogno e avverte l’urgenza di comprenderlo. Il soggetto nell’arco di questo periodo di TA difficilmente ha ricordato sogni e quando lo faceva non raccontava di questi, se non nei suoi scritti. Il sogno riportato è il seguente: “Scoprivo di essere incinta e per me era una sorpresa. Ero forse un po’ intimorita ma contenta allo stesso momento. Il mio pensiero era: “adesso devo dirlo ai miei compagni di squadra” (pallavolo) e un po’ mi dispiaceva dover smettere di giocare, perché quest’anno ci stiamo divertendo di più, ma d’altra parte finalmente stavo per diventare mamma! La cosa che in sogno non mi è minimamente passata per la testa, dice, è chi fosse il padre. Ci ho riflettuto dopo svegliata. Ricordavo quello che avevo visto, pensato e scritto, e ad un tratto mi sono bloccata ed ho pensato: “ma non c’era il mio compagno quale padre del bambino in questo sogno ??!!!” Aggiunge: “nel sogno era naturale che fosse così, non esisteva e non mi sono posta la questione”. Dal sogno emerge che il suo sentirsi intimorita, è naturale, deriva dal fatto che quella della maternità è una situazione che non ha mai esperito. Inoltre il sogno le rende un dato di realtà ovvero se è incinta non potrà giocare a pallavolo per non rischiare di compromettere la gravidanza. Pertanto se vuole diventare mamma, desiderio che emerge fortemente in lei nel sogno, dovrà rinunciare per un certo periodo alla pallavolo. Infine il sogno le indica che nella sua attuale situazione sentimentale la figura di quello che è il suo ragazzo non è presente come padre del bambino. Lei dopo questa elaborazione conferma che il suo desiderio di maternità è forte e che al tempo stesso sa che con il ragazzo che sta frequentando non può intraprendere questo progetto. Con il TA il soggetto dopo un po’ di tempo è riuscita a raggiungere quel rilassamento che le permette ora di prendere sonno e riposare meglio la notte. Un’ultima questione trattata, in quanto ritenuta importante dal soggetto, ha riguardato una sua problematica relativa ad un suo atteggiamento consolidatosi: ovvero, di ritorno a casa, dopo il lavoro, avverte l’impulso di recarsi immediatamente davanti al frigorifero e mangiare voracemente quello che le capita. E’ preoccupata di questo suo atteggiamento. Il soggetto non soffre di obesità ma anzi ha un buono stato fisico. Cerchiamo allora una soluzione adottando una formula intenzionale al TA, dopo aver individuato che il suo non è un disturbo collegato al desiderio di cibo ma uno stato d’ansia da stress dopo una giornata lavorativa. La formula intenzionale adottata è stata: “le preoccupazioni mi scivolano via”. Il soggetto ha eseguito questa procedura: di ritorno a casa dal lavoro esegue un TA inferiore al termine del quale applica la formula intenzionale (con le modalità previste dal metodo di J.H. Schultz) ripetendo lentamente la formula con intervalli di tempo regolari, per una ventina di volte. Il soggetto presenta inizialmente una certa resistenza ad eseguire l’intero procedimento, poi l’atteggiamento cambia e comincia la sua soddisfazione nel riuscire con questo metodo a gestire meglio le sue problematiche quotidiane. Il percorso di training autogeno è ad oggi concluso. L’esperienza per me è stata molto interessante e costruttiva. Il soggetto è ora autonoma nell’esecuzione del TA. Resta l’accordo della possibilità di contattarmi nel caso in cui avesse qualcosa di nuovo da voler chiarire. Nota: ho rivisto casualmente il soggetto a distanza di circa un anno dall’ultima volta. Eravamo nello stesso ristorante. Mi ha presentato il suo nuovo ragazzo con il quale ha deciso di crearsi una famiglia.
Secondo caso: il soggetto, K.L. è una donna di quaranta anni, Ucraina, svolge la professione di operaio presso un’azienda agricola. Si dice interessata a fare l’esperienza del training autogeno principalmente per problemi legati ad una tensione muscolare alla schiena che non è riuscita a risolvere, né con massaggi, né terapie specialistiche. Il soggetto fin dall’inizio mostra molto entusiasmo e curiosità ad apprendere questo metodo. Racconta di aver praticato altre forme di rilassamento e vanta una certa conoscenza del suo corpo e della sua psiche. Iniziamo il percorso. Dalle informazioni che le vengono date sull’esecuzione del TA e sulla tipologia del metodo, il soggetto pone le sue domande ed ha interesse a raccontare che lei, attraverso i sogni riesce a sapere cosa succederà nel suo futuro. Afferma che i sogni che lei fa, poi, si avverano sempre e quindi sulla base del contenuto del sogno fonda in parte il suo pensare ed agire quotidiano. Le viene spiegato che secondo il nostro metodo il sogno è manifestazione dell’inconscio ossia tutto ciò che nel quotidiano non riusciamo a percepire e che attraverso l’onirico viene alla luce. Il soggetto presenta quindi un pensiero magico legato alla funzione del sogno che va a contaminare il suo vivere. Questa presa di coscienza le produce, come conseguenza, sensi di frustrazione. Il lavoro con il TA diventa quindi importante, non solo per trovare una soluzione al problema legato alla sua tensione muscolare, ma, anche per ricondurre il soggetto in uno stato di percezione del presente non illusorio e magico. Il soggetto inizia il primo esercizio del TA e da subito manifesta la difficoltà nel lasciare accadere e l’interferenza con mondo esterno; in particolare dei rumori che non le permettono l’adeguato rilassamento al TA. Inoltre, il soggetto presenta una forte aspettativa dal TA come se dovesse accaderle, dall’esecuzione dell’esercizio, sempre e comunque un qualcosa. L’invito rivolto al soggetto è quello di cominciare a lasciarsi andare durante il TA e di non aspettarsi che qualcosa accada. La difficoltà ad assumere un tale atteggiamento le permane tanto che fa fatica nella ripetizione delle formule, non riesce a stare nel TA per il tempo dovuto. A distanza di un mese (siamo quindi nel passaggio tra il primo e secondo esercizio) nonostante il protrarsi del suo stato di difficoltà nel lasciare accadere, il soggetto racconta il manifestarsi, attraverso l’esercizio, di scariche autogene che danno il segnale di un migliore atteggiamento di apertura al metodo. Queste scariche autogene che caratterizzano tutto il suo percorso di training, sono date da forti scosse alle mani e piedi che riporterà all’inizio di quasi tutti i protocolli di tutta la serie di esercizi. A circa metà del percorso di training, il soggetto non mostra più un pensiero magico riferito alla sua iniziale convinzione legata ai sogni. Non ne parla più. Presenta invece un forte interessamento al “fenomeno” che da alcuni giorni le si verifica: durante l’esecuzione dell’esercizio le capita di addormentarsi tanto da decidere di eseguire il TA prima di andare a letto. Questo le ha permesso di prendere subito sonno; un sonno che lei stessa definisce profondo e che da tempo non le capitava. Si sente più energica e serena. Riesce meglio ad organizzare il suo lavoro ed il tempo libero che ha ripreso a dedicare allo sport. Manifesta la sua contentezza su questo aspetto del training. Quanto ai sogni, non vengono dal soggetto più menzionati durante gli incontri. Dice di sognare ma non ricordarseli. Qualcosa ha trascritto ma non esprime interesse a parlarne, mentre il suo focus sembra andare verso un’unica direzione: il riuscire a prendere sonno con l’ausilio del TA. La riorganizzazione delle sue giornate dovute ad una migliore situazione psico-fisica, hanno reso il soggetto attiva nel suo quotidiano, riscoprendo i suoi interessi che da tempo aveva abbandonato, generandosi una armonia tra corpo e psiche, non più scisse come all’inizio si presentavano. Attraverso l’unità soma-psiche, il soggetto ha sviluppato un atteggiamento meno “aggressivo” in ambito lavorativo, dove lamentava difficili rapporti con i colleghi. Il soggetto è riuscito a soddisfare parte dei suoi interessi attraverso una maggiore e nuova percezione di sé, che le permette, ora, di vivere i rapporti con il mondo esterno con una maggiore distanza e assumere l’atteggiamento adeguato in modo da non incorrere in continui conflitti come prima accadeva. Si è riusciti inoltre ad individuare la causa dei suoi dolori muscolari alla schiena che la terapia manipolativa, solo per breve tempo, era riuscita a risolvere. Si tratta di una componente somatica: lo stress che le si produceva durante le giornate di lavoro, dovuto ai conflitti con i colleghi, veniva poi scaricato, a livello inconscio, nella parte superiore e inferiore della schiena. Si è giunti al risultato di una riduzione del dolore nella parte interessata, dovuta, sia ad una nuova modalità di relazionarsi con il mondo esterno, sia ad un ripristino delle funzioni motorie attraverso la pratica sportiva. Il soggetto riferisce inoltre l’interesse a diminuire l’uso del tabacco, che da tempo consuma. Si decide di attendere un po’ di tempo prima di applicare una formula intenzionale, riscontrando ancora una non completa autonomia nella gestione del TA. Viene praticato il TA inferiore per un ulteriore periodo di tempo di un mese, dopo di che, viene scelta come formula intenzionale: “il fumo mi è indifferente”, da applicare con le modalità previste dal metodo di J.H. Schultz. Una volta entrati in stato autogeno con il TA inferiore, si rimane nello stato autogeno e dopo pochi minuti si comincia a ripetere la formula lentamente con intervalli l’una dall’altra, per una quindicina, venti, ripetizioni. Il soggetto ormai autonoma nell’esecuzione del TA, giunta al termine, avverte la necessità di interpellarmi per la ricomparsa in forma acuta dei dolori alla schiena. Fissiamo un incontro. Le viene chiesto con che regolarità esegue gli esercizi ed emerge che il dedicarsi alla formula intenzionale sul fumo, l’aveva distratta dal principale compito che è quello di esercitarsi con costanza al TA inferiore. Così, la non regolarità nel compimento degli esercizi l’aveva riportata all’originaria situazione di stress e come conseguenza al riformarsi dei dolori alla schiena. Ricondotta l’attenzione sull’importanza di tenere un regolare allenamento al TA, il soggetto torna ad una situazione somatica accettabile e ad un alleggerimento dello stress. Per quanto riguarda la formula intenzionale riferita al fumo, il soggetto comunica che, attraverso l’introduzione di questa formula ha avvertito un certo desiderio di ridurne l’uso, prestando più attenzione ai momenti nei quali fumare le crea piacere rispetto ad un fumare “meccanico”. L’esperienza con il soggetto è stata interessante. Si scoprono e si colgono i tanti e diversi funzionamenti psicologici che ognuno di noi ha. Migliorare se stessi passa anche attraverso l’ascolto delle esperienze dell’altro.