Amare

27 Novembre 2024

Amare oggi
L’amore che intendiamo in questa sede è il costitutivo dell’individuo come dimensione dell’uomo. Amare significa sviluppare la capacità d’amare e ciò richiede un lavoro che parte dalla persona. Quello che poi si sviluppa va messo nella dimensione della relazione. L’amore è inteso come la capacità personale legata alla necessità di essere in relazione. Amare è un modo di essere e soffrire fa parte dell’amore. Anche il riconoscimento dei propri difetti è amarsi in quanto possibilità di cambiarli. L’amore è il contrario del rimuovere ciò che non ci piace. L’individuo che non ama è patologico: l’uomo nasce con questa disposizione-facoltà altrimenti non ci sarebbe l’incontro con l’altro. L’amore può essere contraddizione, bellezza ma anche tragedia. La parola “amore” è un simbolo al quale ognuno di noi deve dare significato. Per dare significato all’esperienza umana bisogna passare attraverso l’esperienza stessa. Il nostro corso di formazione non è un corso teorico ma esperenziale; si va dall’Esperienza al Significato. Non si può concepire la vita come fosse un fatto razionale; non si parla di concetti ma di un pensiero che esprime la persona. La realtà siamo noi e non il ragionamento. La costruzione di un discorso soltanto logico porta all’appiattimento in quanto staccato dal sentire e può determinare la dissociazione. Per noi l’originalità è in quello che si sente.
Nel mondo di oggi la dissociazione psichica è sempre più frequente poiché la logica ha preso il sopravvento sul sentimento. Si è osservato che l’immagine ha la sua importanza nello sviluppo della sensibilità della persona e nell’educazione al proprio senso. L’arte è l’incontro con il proprio sensibile. Arrivare all’immagine come mappa del proprio interno per conseguire la salute personale è un atto dovuto e un atto educativo. Anche il corpo esprime l’interiorità! La corporeità è la manifestazione del sentirsi bene o meno con il proprio corpo. Così, ad esempio, l’incontro con una persona in equilibrio con il proprio corpo e che esprime la sua serenità sarà certamente fonte di curiosità e di attrazione. Il corpo che attrae è il corpo che sta bene mentre quello che respinge è il corpo che sta male. Il senso di ciò che ci succede si coglie imparando a percepire quello che dentro di sé accade spontaneamente come atto (divino) che rivela l’inconscio, il Dio psicoanalitico. Occorre agganciare il pensiero al sentire per giungere al significato di ciò che si vive. Senza questo collegamento si va incontro alla identificazione che è sempre simbiotica. L’invito è quello di allenare il percorso della sensazione fino ad arrivare al pensiero personale, il concetto del senso che è nella sensazione. La sensazione infatti non è il dato finale ma l’inizio del percorso interno. Poi vi è la manifestazione del proprio pensiero che è l’azione. Bisogna educarsi a sentire immediatamente quello che chiamiamo la “prima” sensazione ed agire in funzione di questa. Abitualmente si usa l’intelletto per definire la realtà ma questo ci toglie la soggettività. La percezione è il primo apparire. La consapevolezza richiede poi un lavoro introspettivo per arrivare al senso che attraverso il linguaggio, la parola, passa dalla percezione alla consapevolezza. Trovare la parola giusta che esprime ciò senti è un atto necessario affinché la parola diventi il determinante della dimensione emotiva. La parola va acquisita in modo che sia sensata. La parola divina è la parola che corrisponde esattamente a ciò che si sente. Questo processo richiede l’educazione e l’allenamento. Il linguaggio tuttavia è una polisemia, la stessa parola ha tanti significati ed è per questo che spesso non ci si capisce. La parola infatti è qualcosa di oggettivo mentre il significato è un quid di soggettivo. Occorre verificare se l’altro ci ha capiti e non darlo per scontato, né pretendere che l’altro ci capisca sempre.
Quanto alla distinzione tra proiezione patologica e non patologica: si può affermare che la proiezione sana è trovare in noi quelle qualità che abitualmente non si usano quando si guarda la realtà della vita. La proiezione patologica è le qualità personali che possiede l’altro al quale ci troviamo legati in una situazione di dipendenza ed il nostro potenziale interno è vissuto nell’altro. La cosa più pericolosa è attribuire all’altro ciò che è nostro. Ad esempio nell’innamoramento si pensa che sia l’altro a farci sentire l’immensa emozione. Ritirando la proiezione possiamo renderci conto del valore personale e riconoscere sia il bene che il male. Si deve tenere conto anche che ci sono sempre due entità: una esterna, qualcuno che ci vede ma non sa di noi e una interna, siamo noi che sappiamo di noi stessi ma non sappiamo come ci vedono gli altri. Quando ci sono due persone che collaborano c’è la possibilità di conoscere l’intero. Questo dà anche il senso e la necessità della relazione. Se io sono solo e vedo solo come mi sento rischio di diventare onnipotente e/o paranoico. Nella relazione ho la verifica di chi e come sono poiché agisco.
Possiamo dire che ci sono quattro fasi nella vita dell’individuo. Nella prima fase l’individuo è completamente dentro all’ambiente; nella seconda fase nell’individuo, la mescolanza con il mondo esterno e comincia a ridursi e la psiche interviene nell’esterno con una leggera autonomia; la terza fase in cui l’individuo ha una psiche che sviluppa le sue funzioni ma non è completamente libero dall’esterno; la quarta fase in cui l’individuo si è separato e avendo fatto la separazione IO – TU si definisce arrivando al principio di realtà. Ricordiamo che con la ragione non c’è mai la certezza poiché non si definisce niente. L’unica certezza è in ciò che sentiamo! In questa prospettiva il discorso dell’amare lo definiamo condizione interiore, un modo di essere personale che non si riferisce all’altro. Comunemente si attribuisce il nostro sentimento all’altro. Ad esempio si dice mi sono innamorato perché lui o lei è… Invece siamo noi che ci trasformiamo nell’amore in relazione con l’altro. Si è come onde del mare anche quando si fa mosso. Amare è dunque una disposizione naturale e quando lo si attribuisce all’altro si entra in una dimensione di dipendenza. Si può amare in modo proiettivo, dipendente, infantile oppure in modo autonomo: IO sono IO e mi relaziono con l’altro per condividere quello che in due è possibile condividere e che non può essere il condividere tutto. Per realizzare l’amore in relazione devo innanzitutto conoscere la mia modalità di esprimere il sentimento. Comunemente ci si lamenta di come l’altro ci ama. Anche il fidarsi è fondamentale sia per se stessi che in relazione. Fidarsi o non fidarsi è un sentimento legato alla propria dimensione d’amare. La fiducia è un modo di essere. Vivere la relazione d’amore richiede la presenza, e lo sviluppo e la consapevolezza di entrambi che non si può vivere in modo individuale e separato il rapporto. Il paranoico non riconosce mai il suo errore; per lui è sempre colpa dell’altro e con lui non è possibile avere un rapporto. L’aspetto depressivo di riconoscere il proprio errore è necessario per migliorare sé e la relazione con l’altro; nel paranoico ciò non avviene in quanto non si realizza questo riconoscimento. La resistenza a riconoscere il proprio errore e la propria responsabilità si traduce nella difficoltà a vivere la sofferenza senza la quale non ci può essere cambiamento. Il sentimento è nell’essere della persona e nella sua unità. Quando ci definiamo, definiamo anche l’oggetto; con la sensazione separiamo l’uno dall’altro e sappiamo chi si è. Quando c’è una vera libertà interiore l’intensità di essa si tende a non disperderla; è la necessità qualitativa massima di concentrazione. Quando questo non si fa si arriva alla simbiosi con l’altro. Possiamo chiederci: “Amare è solo essere corrisposti?”. La risposta è no. Amare diventa un nostro modo di essere senza limiti perché riguarda solo noi. Si può amare senza essere corrisposti come la condizione personale: “Io amo!” Non è più: “Io amo qualcosa”. Io amo è il totale, l’altro diventa una parte che entra all’interno del mio amore ma non può essere tutto il mio amore. E’ felice chi ama ciò che fa, ciò di cui si occupa e dell’interesse che ha. È importante nell’amare lo sviluppo della capacità di percepire quello che si sente e che si vive. La percezione è la funzione che ci permette di entrare in contatto con l’interiorità. Non essendo sviluppata la percezione si vive con il cognitivo e la ragione. La ragione non capisce il cuore poiché è emozione: l’interiorità può essere solo percepita e non può essere ragionata. Se c’è soltanto il razionale, la sofferenza che è un’emozione interiore, viene ragionata e con il ragionamento non c’è il cambiamento. Senza emozioni la vita è schizoide e con la sola ragione non si può cambiare l’esistenza. L’emozione una volta percepita va saputa gestire e significata attraverso il metodo che va interiorizzato e fatto proprio. Interiorizzazione significa sviluppare quelle funzioni che ci fanno percepire l’emozione, elaborarla e darle un significato che poi si può tradurre in un comportamento reale. Per raggiungere il benessere bisogna scoprire i nostri punti “vuoti” che, attraverso la comparsa del segnale del malessere ci indicano un settore della nostra psiche che non è cosciente e che fa entrare in confusione e conduce ad una mancanza di definizione. Come diceva Freud: “Chi vede la realtà è guarito”. Vedere la realtà significa vedere il bene e il male; occorre fare distinzione tra realtà esterna e personale.
Ci sono tre livelli di realtà: una esterna, una comportamentale ed una interiore. Queste sono integrate tra di loro. Importante è anche distinguere tra sentire e sentirsi: il sentire indica la posizione che il soggetto ha verso un altro da sé; il sentirsi è l’IO che sente in risposta ad una parte di sé e non c’è il TU. Esiste anche una realtà interna oggettiva. Il terremoto ad esempio ci condiziona, è un dato oggettivo! Col terremoto può crollare la casa e non ci puoi far nulla. Poi c’è il condizionamento che viene dall’altro in funzione del fatto che non sappiamo separarci da lui. Vedo ad esempio un malato e mi angoscio perché penso che può capitare anche a me. Faccio una libera immaginazione! Credo che un giorno dovrò morire e questa credenza non è realtà ma appunto immaginazione. Allora ci si deve chiedere il perché invece di immaginare di morire non ci si immagina di guadagnare un sacco di soldi! Prima di soffrire aspettiamo almeno di romperci la gamba. L’immaginazione negativa è problematica e nasce in funzione di come si è. Così se si è ottimisti si vede in un certo modo la vita; il pessimista vede tutto nero. Il realista è cosciente della sua immaginazione e dice questa è una immaginazione e sta tranquillo. Quello che capiterà non lo sa. La Dolcetti spiega come mai c’è l’immaginazione al futuro. Per l’uomo pensare ad una realtà e ad un presente che si ferma è qualcosa di difficile da formare nella coscienza. Si sa oggi che l’unico reale percepibile è il presente. Quando rimaniamo con il sentire nel presente non c’è bisogno di fare immaginazioni e proiezioni. La proiezione sana è trovare in noi tutte quelle qualità che abitualmente non usiamo. Nella proiezione patologica le qualità le possiede l’altro. Si fanno possedere all’altro e ci si trova legati all’altro in una situazione di dipendenza e anche il nostro interno potenziale viene messo nell’altro. L’educazione attraverso l’immagine è un andare verso la sensibilità cosicché possiamo passare dal comune “TU-sei” all’ “IO-sono”. Per relazionarsi con l’altro occorre sviluppare la morale e l’etica. Questo non è un fatto naturale ma una costruzione dell’uomo. Si vive la regola di solito in modo negativo come limitazione della nostra libertà. In realtà la regola è una necessità. Il vivere in relazione richiede lo sviluppo della pazienza che significa patire per ciò che non ci piace. Se non si sviluppa la pazienza si entra nella prevaricazione e nella pretesa che sono due elementi infantili. Il sacrificio è rendere sacra la mia azione che non significa rinuncia a qualcosa. Le persone che non hanno le regole vivono in una dimensione magica. Si entra così nella simbiosi, nel pensiero magico del tipo: lui/lei sa già ciò che io voglio e se l’altro non capisce ciò che voglio significa che non mi ama. Ora possiamo chiederci: come si crea? L’uomo crea attraverso l’intelligenza ossia un processo interiore che deve essere educato anche se innato. Questo è quello che ancora manca: l’educazione a creare anziché seguire quello che gli altri ci dicono di fare. Questa è la rivoluzione che fa bene al soggetto che così può diventare conosciuto all’altro. Ciò implica l’abbandono del concetto di terapia per passare al concetto di educazione. Le regole che si danno richiedono un lavoro introspettivo e riflessivo. Ciò significa percepire quello che si fa, stabilire come si vuole vivere e rendere oggettivo il comportamento. La morale e l’etica sono efficaci quando diventano un sentimento. Seguire l’etica e la morale comporta il sacrificio perché a volte non porta ad un utile o addirittura provoca un danno. Amare se stessi significa stare bene, coltivare le proprie qualità, sviluppare le proprie potenzialità. Una volta sviluppato posso dare agli altri se voglio e quando voglio. Se vuoi aiutare un altro devi stare bene prima tu e ti devi assistere, alimentarti in modo corretto, sviluppare lo spirito, i principi, l’intelligenza e lavorare con tutti i limiti del caso. In questo modo si è utili. Purtroppo nell’uomo c’è in genere la presunzione fallace di credere di fare qualcosa per l’altro. Tuttavia quando si fa un favore a qualcuno lo si fa per se stessi in quanto è ciò che sento; è nel proprio spirito.
Un osservazione va fatta anche sull’umiltà. Chiamiamo umiltà la facoltà necessaria per fare coscienza e per rendersi conto di quello che si è. Altra osservazione va fatta tra il prima e la fine: c’è la responsabilità di vivere il vitale e di come si vive. La morte è un evento naturale mentre il vissuto della morte e soggettivo e personale. Il primo mito scritto sulla morte è quello di Gilgamesh che va alla ricerca dell’immortalità. Il Faust di Goethe fa uno scambio con la morte. Tolstoj fa rivedere tutta la sua vita da protagonista prima di morire. Oggi l’idea e il vissuto della morte tende ad essere allontanato; quanto più questo avviene tanto più l’uomo diventa superficiale. Questo porta al consumismo ed il consumo sostituisce il senso della vita. La morte ci dà il senso della vita. Il consumo è un condizionamento che la società pone per allontanare il problema della morte, e non vivere l’angoscia. La morte è sofferenza per la perdita, è un fatto oggettivo. Così quando si pensa che c’è un termine alla vita ci si pone anche la responsabilità di come vivere. E’ per superare la paura della morte che si sono inventati l’immortalità e l’aldilà. I primi culti religiosi sono formulati sul culto dei morti. La paura della sofferenza, ad esempio la malattia, è diversa dalla paura della morte. Il meditare sulla morte è un’opportunità di riflettere su come vivere. Tante paranoie, ipocondrie e sciocchezze si supererebbero come pura invenzione di ciò che non si capisce e del vero dolore. Si tende sempre più a spostarsi dalla vera sofferenza ad una sofferenza fittizia.

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