Lo Psicodramma

27 Novembre 2024

La coscienza di sé nell’esistenza tramite lo psicodramma
La coscienza di sé è la capacità di fondare il nostro vivere sulla interiorità (autocoscienza), e il mondo interiore può essere solo il mondo soggettivo. La soggettività si può cogliere solo attraverso la percezione. Si è educati all’osservazione e all’obbedienza di una verità precostituita e a principi già posti rispetto al nostro personale sentire. Esistenziale significa Esistere; attraverso le azioni estendiamo il nostro essere, la potenzialità che abbiamo, viene dalla natura e non dipende dalla nostra volontà, né dal nostro intelletto ma da un essere che è già dato. Lo psicodramma è il metodo attraverso il quale si è cercato di far emergere l’esistenziale, trarre gli elementi psicologici. Si caratterizza per la sua spontaneità nello svolgimento. Tutto questo nella prospettiva del metodo il Senso nella Psiche che ci caratterizza nel cogliere l’interiorità attraverso la sensazione. Quello che interessa è la consapevolezza a partire dalla manifestazione. La manifestazione è la sensazione che va educata. Oggi non è più condivisibile che l’uomo si concepisca come soggetto che conquista l’oggetto. La novità sta nel concepirsi come soggetti in relazione. Ecco che il senso della conquista intesa come seduzione: il fare qualcosa per indurre nell’altro un atto, diviene patologica. Se l’altro fosse un oggetto non ci sarebbe rapporto e senza rapporto non c’è la relazione e non c’è il sentimento che è solo del soggetto. L’essere spinto verso…significa partire dal sé; l’essere attratto da…significa partire dall’altro. Il risultato è diverso. Ad esempio se l’altro mi attrae perché è bello non è uguale all’ essere spinto da un sentimento. L’altro non può mai essere considerato oggetto ma è sempre e irriducibilmente soggetto. Se l’altro fosse oggetto non esisterebbe. L’essere- persona comporta il sapere di sé, quello che si vuole, essere consapevole delle proprie emozioni e dei propri sentimenti. Prima della morale e dell’etica deve esserci il sapere chi si è e sapere che l’altro è una persona. Quando si ha interesse verso l’altro il problema è di rapportarsi all’altro come ad uno sconosciuto e sapere da lui cosa sente. Questo è l’inizio di una relazione reciproca e alla pari, etica. Non si va a conquistare ma solo si può sapere se c’è una corrispondenza alle emozioni e ai sentimenti che io ho. In tal modo non avrò vergogna della non corrispondenza ma ci sarà il tentativo di sapere se questa corrispondenza esiste o meno. Essere persona significa anche essere consapevole della relatività delle emozioni; l’altro non può essere il tutto ma solo una parte. Anche la frustrazione della non corrispondenza diventa qualcosa di vivibile e non di assoluto: “Per te o senza te morirò” oppure “Senza te non vivrò”. E’ infantile.
La curiosità di conoscere è qualcosa di personale e non proviene dall’altro ma è l’interesse a soddisfare la propria curiosità verso l’uomo. È un dato di fatto che noi siamo osservatori e osservati nello stesso momento. Questo comporta la consapevolezza e l’accettazione di chi sono io sia sul piano psicologico che corporeo. Quando si dice: “Mi condiziona il sentirmi osservato” significa che c’è un qualcosa che in me non va e sono condizionato quando non riconosco quello che sono sul piano dell’esteriorità ossia di ciò che si vede di me e non si può celare. Quando non mi accetto per quel che sono avrò sensi di inferiorità e inadeguatezza. Il corpo si conosce dall’interno e l’attivazione permette di conoscerlo. Abitualmente si pensa al corpo come dimensione estetica. Chi non fa un’attività fisica che gli piace ha sempre problematiche di percezione. Ricordiamoci che il pensiero nasce dalla percezione. Durante il corso abbiamo ribadito un’importante differenza tra emozione e sensazione: l’emozione è quella situazione interna personale che ti travolge, non controlli, non possiedi e soprattutto ti spinge ad agire senza una direzione. È l’emozione che possiede il Sé. Emozione viene da ex-movere che significa essere messo a soqquadro. Mentre la sensazione è avere la consapevolezza di quello che si è e si sente. La sensazione permette di indirizzarci a quello che vogliamo fare in un certo momento e situazione. Con una metafora: la sensazione è un punto sul foglio bianco; l’emozione è una macchia sul foglio bianco. Un tema trattato in questo corso è stato anche quello sulla coppia. Se non si cresce come persona la coppia “muore”. Questo ribalta la verità. Fino ad oggi la coppia veniva prima degli individui. Oggi l’individuo prevale sulla coppia che va intesa come conseguenza dello sviluppo individuale e non viceversa. Prima per valorizzare la coppia si finiva per soffocare l’individuo. La relazione si stabilisce quando c’è un dialogo; ciò significa che io parto da una mia idea e da una mia posizione e l’altro dalla sua. Insieme costruiamo un’altra verità. Occorre porsi il problema del cosa comunicare, del come, del quando, del dove e a chi. Per comunicare devo anche essere in grado di esprimere chi sono io. Abitualmente ci si esprime in funzione di chi è l’altro facendo proiezioni. Con la proiezione avviene che lui comunica ed io comunico su quello che dice l’altro che non è quello che dico io. Così non ci si capisce. Ecco l’importanza della reciprocità e dell’alternanza, per cui uno parla e l’altro ascolta e viceversa. Quando invece ci si preoccupa di affermare se stessi sull’altro non siamo più nella comunicazione ma nella prevaricazione. Per comunicare dobbiamo uscire dalla prevaricazione e dal pregiudizio vale a dire non devo pensare a quello che l’altro è prima di conoscerlo. Ascolto significa cercare di capire l’altro e non ci si deve chiedere come poterlo capire. Lo possiamo capire ascoltando quello che l’altro ci suscita. Comunemente si cerca di capire quello che l’altro ci dice invece di capire quello che ci suscita e così finiamo nell’interpretazione che non è ascolto e discutiamo all’infinito senza capire niente. Occorre imparare ad ascoltare quello che si sente.
Se non c’è l’Emozione e/o meglio la Sensazione, ma solo il razionale, la ragione, è come colui che mangia ma non sente il gusto. Per tornare allo psicodramma, possiamo vedere come si è sviluppata una situazione che vede una figlia vivere in un luogo di poco lontano rispetto a quello in cui vive la madre. Il rapporto con la madre contempla una situazione affettiva non definita in cui vi sono richieste da parte della madre alla figlia di essere accudita per varie ragioni comprese quelle di salute. Al termine dello psicodramma il soggetto-figlia che ha recitato, viene a manifestare l’emozione della commozione. Il soggetto non riesce a dare un senso a tale emozione. Attraverso lo psicodramma il soggetto, la figlia, è riuscita a rapportarsi con la madre che avrebbe voluto, una madre comprensiva che le desse la libertà di essere se stessa senza costringerla ad essere in funzione delle esigenze della madre. Si può così cogliere la distinzione tra una madre che soffre nel vedere la figlia che se ne va e lo riconosce senza colpevolizzarla e una madre ingrata che sacrifica la figlia per il suo egoistico bisogno. La madre che trattiene il figlio non permette a questi di crescere. Quello che la madre non ha concesso per ingratitudine dovrà essere conquistato da chi ha vissuto l’ingratitudine e non aspettarsi la benedizione ma prendersela da sé. Per far crescere i figli i genitori devono sacrificare il loro affetto per non trattenerli a sé. In questo gioco, spesso, si determinano i destini dei figli. Ciò fa cogliere come il cambiamento possa avvenire solo sulla base di una presa di coscienza che prima fa cambiare la persona e poi il suo comportamento e che non passa attraverso l’intelletto ma è una acquisizione emozionale. L’intelligenza, sia pur ottima cosa, non è sufficiente a livello esistenziale ai fini del cambiamento. A volte l’allontanamento è vissuto nel malessere, si vive come colpa che diventa inquietudine nel senso di non occuparsi dei genitori. Quando i genitori impediscono ai figli di essere se stessi, il figlio che se ne va, per non sentirsi ingrato, deve fare una “operazione” psicologica notevole ossia aiutare i genitori senza metterci il cuore, senza metterci il sentimento. Un dato che è stato posto come osservazione riguarda l’emozione di gelosia e di invidia tra fratelli nel caso in cui uno dei due è il preferito dal genitore. Ebbene, specialmente le madri, ma anche i padri, quando hanno una predilezione per uno dei figli, tendono a non riconoscerlo pur assumendo poi allo stato dei fatti un diverso atteggiamento affettivo. Il genitore non lo ammette poiché si sente in colpa. Nella sua testa c’è l’idea di essere giusto e uguale per entrambi i figli. Quando si tratta di bambini, essendo loro razionali ed emozionali, ciò viene ad incidere sul loro atteggiamento di fiducia/sfiducia che si sviluppa nel primo anno di vita con la madre. I bambini sono molto sensibili per cui ogni atteggiamento diversificato diventa: “mi vuole bene” – “non mi vuole bene”. Il bambino se non si sente voluto bene sviluppa un senso di sfiducia in se stesso. Il problema poi è come riacquistare la fiducia che non si è sviluppata da bambino. La madre “ideale” è quella che ti permette di andare e ti benedice quando te ne vai. Non è quella che ti maledice per cui ti porti la maledizione per tutta la vita e ti senti in colpa. Parliamo di questioni emotive, non razionali. Una madre e/o un padre che ha il senso di realtà, sa che il figlio per crescere dovrà imparare ad affrontare le difficoltà della vita da sé e il genitore deve essere disponibile a soffrire per la sofferenza del figlio; la sua sofferenza sarà una sofferenza silenziosa, da vivere in sé e non può essere misconosciuta, né si può evitare che il figlio soffra per crescere. Si tratta di una sofferenza naturale. Quando invece rimane nella prospettiva dell’ideale, la vita è priva di sofferenza.
Durante il corso è sorto anche l’interesse nel dare una definizione alla parola “amore”. L’amore non va visto all’interno di un rapporto ma come una cosa in sé. Così ad esempio il sentimento come la tenerezza verso la figura materna può essere inteso come un cambiamento di prospettiva. E’ un sentimento che si sente verso la persona a prescindere dalla stessa. Un qualcosa che nasce in sé come sentimento e lo si vive per sé, nella consapevolezza di quello che si sente. L’amore così inteso si differenzia dall’essere amato, dove ci si trova in una condizione di passività. Amare significa attivarsi. La maggioranza delle persone vive l’amore nella dimensione dell’essere amato. Mentre l’amore è attivazione che richiede una responsabilità poiché oltre al sentimento in sé c’è anche l’obbligo della manifestazione del sentimento. Attivarsi nell’amore significa uscire dalla dipendenza ed essere adulti, assumersi la responsabilità dei propri sentimenti. Amare è anche consapevolezza e responsabilità del proprio limite e dei propri difetti. Cercare di correggersi e migliorarsi è un atto d’amore che ha valore in sé e per sé stessi ma anche nella relazione con l’altro. Abitualmente si chiede all’altro di cambiare e difficilmente si cambia a partire da noi stessi. Amore non deve essere chiedere ma avere qualcosa che si può offrire. La capacità di amare dipende dal senso di fiducia che si ha. Non è la fiducia nell’altro ma in se stessi; è un modo di essere in sé. Anche la figura del padre è importante nel primo anno di vita; quanto il padre è presente ciò costituisce la possibilità per la madre di essere più sicura e protetta. L’amore, in una prospettiva personale, è la realizzazione di se stessi e nel realizzare se stessi c’è anche la capacità di cogliere la propria carenza. Per realizzare se stessi c’è anche bisogno dell’altro che diventa l’elemento fondamentale per la completa realizzazione di sé. Non può corrispondere il Tutto a ciò che sono io e basta e alla mia totalità. Non posso per realizzare me stesso prescindere dalla presenza dall’altro. Un esempio è la paternità/maternità. Amare qualcuno significa sviluppare le proprie potenzialità e andare verso l’altro per quello di cui ho bisogno dell’altro. Ciò rappresenta anche la necessità della reciprocità. Occorre essere autonomi, ossia capaci di amare, e questa capacità non è già in noi ma è un qualcosa che va sviluppato. La capacità di amare richiede un lavoro e uno sviluppo di quelle azioni che permettono di realizzare ciò che si vuole. Questo esclude la dipendenza. L’amore è quindi attivazione di se stessi. Se noi continuiamo a chiedere all’altro di darci quello che ci manca per riempire i nostri vuoti allora l’amore non si realizza. Il vero amore si realizza quando si è capaci di sviluppare e di donare. Questo deve essere fatto da entrambe le parti altrimenti non ci può essere l’amore. In questo senso l’amore diventa anche la capacità di sacrificarsi nel riconoscimento e nell’accettazione di ciò che l’altro non mi corrisponde e/o che non mi piace. Riconoscere la propria ombra e quella dell’altro è sacrificio perché è sofferenza. La sofferenza ha il senso del sacrificio, rende sacro e dà dignità a ciò che non è perfetto. Quando chiediamo a noi stessi o all’altro di essere perfetti/o arriveremo alla depressione. La realizzazione è per sé non per l’altro altrimenti sarebbe una fatica senza senso. Quando la persona non sta “bene” come fa ad amare e dare il bene all’altro. Se si sta male si darà all’altro il malessere e quindi lo star bene diventa il presupposto per amare. La relazione è necessaria per conoscere se stessi: ci fa capire il limite, le difficoltà, le nostre carenze, i nostri bisogni. Amare non è più cambiare l’altro ma cambiare se stessi affinché la relazione sia migliore. Il cambiamento è difficile per il semplice fatto che per riconoscere i propri errori, limiti, difetti e le ombre, bisogna soffrire e conoscere ciò che non ci piace. Senza questo impegno non si migliora. Per arrivare al bene comune c’è bisogno della comunicazione e del dialogo.
E’ necessario che ciascuno conosca se stesso e lo comunichi all’altro. Abitualmente si pretende che l’altro capisca quello che desideriamo. L’altro non potrà mai sapere quello che io voglio perché occorre comunicare ciò che piace e non piace. Solo così si può realizzare, per quanto possibile, il bene e l’amore all’interno della propria vita ed anche all’interno della relazione. Un elemento importante è quello dello “sguardo” che nella comunicazione non verbale è il cinquanta per cento di un contenuto. Se si intuisce lo sguardo dell’altro, si può imparare molto della persona. Il bene è non criticare l’altro ma cercare di capire l’altro a partire proprio da quei segnali che sono involontari e inconsapevoli e non guidati dalla ragione. Con le parole si può mistificare, con la corporeità questo non è possibile. Nei primi incontri con l’altro è opportuno cogliere la comunicazione non verbale. Purtroppo a questo non siamo educati e diamo più importanza alle parole che spesso non corrispondono a ciò che si è e che si vuole esprimere. Quello che si deve capire è che se io ho un interesse verso l’altra persona, affinché possa farmi da lei conoscere, più sono naturale tanto meglio è. A volte la paura del giudizio porta ad una alterazione. Naturale significa essere consapevoli di esprimere nelle situazioni quello che si è. La rigidità porta ad una maggiore possibilità di errore e con essa ci si difende da se stessi. L’emozione è la paura di quello che l’altro può pensare; questa paura nasce dalla proiezione. Eliminando la proiezione si riesce ad essere naturali. Eliminare l’elemento proiettivo significa rimanere concentrati in se stessi e pensare a come esprimere se stessi. L’altro magari ci starà giudicando oppure no; in ogni caso non abbiamo alcun potere sul giudizio altrui. L’importante è essere al meglio possibile se stessi. Questo è quello che lo Zen cerca di sviluppare: il giudizio dell’esterno viene completamente eliminato e c’è una assoluta concentrazione in sé. Noi, invece, sul piano educativo abbiamo sviluppato l’importanza di dare giudizi all’altro e questo ci porta a situazioni emotive e al disagio con impossibilità ad esprimersi. Fondamentale è anche la presentazione che significa rendere presente chi sono io. Questo è il primo dovere verso l’altro, prima ancora di dichiarare i nostri sentimenti e/o interessi. Poi nel rendermi presente all’altro occorre prudenza in quanto non conoscendo l’altro, è bene che l’avvicinamento avvenga con gradualità. Prendere tempo significa cogliere il momento opportuno per manifestarsi. Sapere aspettare significa avere la pazienza che è una grande virtù. L’essere diversi gli uni dagli altri va visto come ricchezza. La simbiosi è l’essere uguali ed è ciò che distrugge il rapporto. Con l’uguaglianza non si costruisce alcunché Per arrivare al bene comune c’è bisogno della comunicazione e del dialogo.
E’ necessario che ciascuno conosca se stesso e lo comunichi all’altro. Abitualmente si pretende che l’altro capisca quello che desideriamo. L’altro non potrà mai sapere quello che io voglio perché occorre comunicare ciò che piace e non piace. Solo così si può realizzare, per quanto possibile, il bene e l’amore all’interno della propria vita ed anche all’interno della relazione. Un elemento importante è quello dello “sguardo” che nella comunicazione non verbale è il cinquanta per cento di un contenuto. Se si intuisce lo sguardo dell’altro, si può imparare molto della persona. Il bene è non criticare l’altro ma cercare di capire l’altro a partire proprio da quei segnali che sono involontari e inconsapevoli e non guidati dalla ragione. Con le parole si può mistificare, con la corporeità questo non è possibile. Nei primi incontri con l’altro è opportuno cogliere la comunicazione non verbale. Purtroppo a questo non siamo educati e diamo più importanza alle parole che spesso non corrispondono a ciò che si è e che si vuole esprimere. Quello che si deve capire è che se io ho un interesse verso l’altra persona, affinché possa farmi da lei conoscere, più sono naturale tanto meglio è. A volte la paura del giudizio porta ad una alterazione. Naturale significa essere consapevoli di esprimere nelle situazioni quello che si è. La rigidità porta ad una maggiore possibilità di errore e con essa ci si difende da se stessi. L’emozione è la paura di quello che l’altro può pensare; questa paura nasce dalla proiezione. Eliminando la proiezione si riesce ad essere naturali. Eliminare l’elemento proiettivo significa rimanere concentrati in se stessi e pensare a come esprimere se stessi. Ricordiamo anche che il presupposto di ogni rapporto amoroso è la fiducia. Quindi ci si deve chiedere: “Mi fido dell’altro o la fiducia è solo una mia sensazione?”. Noi siamo abituati a fidarci dell’altro invece di riconoscere la fiducia come dimensione propria. L’altro in realtà può fare qualsiasi cosa voglia e quindi non è gestibile. Questo ci dà il senso del limite: non siamo noi che possiamo indurre di fare qualcosa all’altro; ognuno è responsabile di se stesso. Quello a cui non siamo preparati è il limite della natura umana. Mentre si parte dall’idea di un amare per tutta la vita, sempre e comunque. Indubbiamente un amore così dà sicurezza e tranquillità, però non corrisponde alla realtà. Occorre non evitare il costitutivo della vita che è appunto la precarietà a cui non siamo abituati. La fiducia è un sentire e l’altro è soltanto colui che stimola il sentimento. In base a quello che ci suscita si stabilisce una relazione. Con l’amore è più difficile perché si entra in una sfera emozionale che ci fa uscire dalla sensazione. La fiducia, a livello adulto, diventa lo sviluppo delle capacità di cogliere il mondo per quello che è. Chi non ha fiducia limita la sua espressività. Il fidarsi comporta anche la fiducia nel superare il rischio che la fiducia stessa venga tradita. La fiducia è avere la possibilità di imparare a correggere i propri errori, la capacità di peccare e cambiare, cadere e rialzarsi, superare il proprio limite. Avere fiducia in Sé non significa avere la certezza che noi stessi non tradiremo la nostra fede, altrimenti entriamo nella idealizzazione del sé. Ad esempio ci fidiamo di essere onesti poi magari ci viene la tentazione di… La negazione diventa una resistenza psicologica nel senso che non ci fa cogliere la realtà.

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