CONVEGNO SUL CONCETTO DI LIBERTA’ E RESPONSABILITA’
Nella nostra prospettiva psicologica, “libertà” significa essere nella condizione di assumere una decisione a partire dal “sé” rivelatesi attraverso il “sentire”. In questa condizione l’uomo è affrancato dai condizionamenti del mondo esterno, dal super-io, dalle mode, dalla pubblicità ed è in contatto con i suoi bisogni, i desideri autentici della sua realtà. Nello stesso tempo essere libero significa essere non contaminato dalle emozioni, dall’inconscio, dagli automatismi psicosomatici.
“Responsabilità” significa rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni e riconoscerle come proprie. Significa rispondere a se stessi di ciò che si fa nella libertà dell’essere. Ogni scelta richiede la condizione di libertà che comporta la responsabilità. Possiamo, in breve, differenziare la responsabilità dalla morale e dall’etica. La morale può essere intesa come l’insieme delle regole che ognuno si è formato nell’esperienza e segue nel vivere quotidiano. L’etica sono le regole per la vita di relazione con gli altri essere umani. Ne consegue che la responsabilità è insita nell’agire dell’uomo e va riconosciuta per ciò che è. La responsabilità quando viene acquisita elimina l’atteggiamento di “giustificazione” e quello “ paranoide” di attribuire agli altri la conseguenza dei propri errori. Mentre la colpa è un sentimento che ci avverte di un nostro errore rispetto alle premesse dell’agire e/o alle regole morali ed etiche condivise e liberamente accettate. Si accompagna ad uno stato affettivo spiacevole.
Per comprendere meglio il significato di libertà e responsabilità è importante esplicitare in breve il significato di coscienza di sé. La coscienza di sé è una funzione della psiche che ci permette di renderci conto della realtà, una sorta di superficie che sta al limite tra il mondo esterno e quello interno. E’ in rapporto con il mondo esterno con i sensi mentre col mondo interno è collegata mediante la percezione che può essere considerata come l’occhio interiore. Tramite la percezione il mondo interiore si connette alla coscienza. Tuttavia la coscienza di sé non ci dà subito la conoscenza di sé. Per passare dalla coscienza alla conoscenza bisogna compiere un lavoro. Nella coscienza c’è il dato immediato, nella conoscenza scopriamo il significato che il dato ha per noi. In alcune situazioni della vita percepiamo nella coscienza una emozione, per esempio l’invidia e/o la gelosia, ma non ne comprendiamo il significato. A tal fine dobbiamo fare un lavoro in modo che dalla coscienza si passi alla conoscenza. La percezione va distinta dall’istinto e dalla pulsione. L’istinto è innato, geneticamente determinato e induce un comportamento già predeterminato nella specie. La pulsione è un bisogno collegato alla biologia dell’uomo più flessibile rispetto all’istinto. La percezione è il ponte tra l’inconscio e la coscienza.
Veniamo ad esporre un caso pratico.
Il padre chiede alla figlia adolescente di quindici anni di suonare il pianoforte. La figlia, pur non avendo desiderio di farlo, suona lo stesso per non dispiacere il padre.Tuttavia avverte dentro una “rabbia” non espressa e suona malissimo. Il padre si arrabbia, a sua volta, perché la figlia ha suonato male e la redarguisce. Si scatena un litigio furioso che va al di là del fatto contingente e raggiunge motivi personali con offese reciproche, malessere, agitazione eccetera.
Osserviamo il fatto dal punto di vista della figlia. Lei vivrebbe un senso di colpa qualora dicesse no al padre poiché intuisce che lui ha l’aspettativa che lei suoni. Osserviamo la vicenda ponendoci la domanda: “Qual è in questa situazione la condizione di libertà e di responsabilità?” La figlia, per essere “libera”, avrebbe dovuto comunicare al padre ciò che sentiva: la voglia di non suonare e con responsabilità avrebbe dovuto vivere il dispiacere di dare a lui un dispiacere.
Il padre, al contrario, avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di chiedere alla figlia di suonare e vivere con serenità la eventuale negazione. In questo modo entrambi sarebbero stati liberi e responsabili.
Per realizzare la condizione di libertà avrebbe dovuto esserci in entrambi la capacità di fare “coscienza” a partire dal loro “sentire”. Siccome questa educazione era mancante in entrambi si è arrivati alla incomprensione e al litigio.
L’analisi delle emozioni: rabbia della figlia, delusione del padre eccetera, avrebbe potuto aiutare i protagonisti e fare coscienza di sé qualora avessero appreso in precedenza il metodo di dare senso alle emozioni e sviluppare un comportamento adeguato. Possiamo quindi definire “simbiotica” la relazione della figlia col padre. la Simbiosi è la condizione di relazione naturale durante l’infanzia, che diventa patologica quando persiste a livello adulto. In questo stato della mente non può esistere né libertà né responsabilità poiché manca la distinzione tra l’io e il tu , l’autonomia e la capacità di formulare un pensiero personale.
Il bambino non è libero poiché è nella simbiosi naturale con la madre.
Nella dipendenza psicologica da persone e sostanze si è schiavi e non liberi poiché si dipende da qualcuno e/o qualcosa. Il contrario della simbiosi è la “separazione” io-tu.
Essa è una funzione della psiche da sviluppare con un adeguato processo educativo ed è anche la premessa necessaria a costruire da adulto la condizione dell’essere solo e saper stare solo.
Veniamo ad un altro esempio pratico: una ragazza di 15 anni ha un’amica con la quale trascorre molto tempo e condivide vari interessi: cinema teatro eccetera. Tuttavia deve essere sempre la ragazzina a telefonare all’amica poiché questa non si fa mai sentire. Ad un certo punto la ragazzina nel corso di una telefonata con l’amica avverte improvvisamente un malessere. Si chiede allora: perché telefono sempre io?! Il malessere consiste nelle emozioni di “costrizione” che la ragazzina somatizza in un senso di soffocamento al torace. Partendo da ciò che la ragazzina sente: la costrizione, ci rendiamo conto della condizione di non libertà nella quale la ragazza si trovava. La ragazza ha bisogno di condividere il proprio interesse, tuttavia non è soddisfatta della relazione con l’amica. Per realizzare i propri desideri, infatti, deve sottoporsi ad un rapporto a senso unico e “al malessere delle telefonate”. Il rapporto tra le amiche si rompe quando la ragazzina prende coscienza del suo bisogno di condividere i suoi interessi con altri e riconosce l’unidirezionalità del rapporto e l’assenza di reciprocità. Quando la ragazzina, consapevole del suo bisogno, forma un progetto per vivere la condivisione con altre amiche e lo realizza nella reciprocità, allora avverte il senso della libertà. La coscienza di sé ha permesso alla ragazzina di essere libera e responsabile delle sue scelte.
Nella concezione dell’esistenza il punto di partenza è il sé e non l’altro, l’io e non il tu. Questa prospettiva non è né egoista, né egocentrica. Si può dire al contrario che è molto evangelica: ovvero se ami te stesso amerai anche l’altro come te stesso; se non sai amarti non puoi nemmeno dare l’amore all’altro.
Così, l’affettività può essere definita come la funzione della psiche capace di segnalarci il piacere e/o il dispiacere riguardo ad un evento esterno e/o interno che ci colpisce. Affezione significa, infatti, essere colpito da qualcosa che provoca in noi un affetto.
La condizione di libertà comporta di essere scevri anche dalle emozioni. per realizzarla dobbiamo essere capaci di dare senso alle emozioni che viviamo e considerarle come segnali che ci indicano lo stato del nostro mondo interiore nel cammino esistenziale
Per vivere la libertà in una relazione affettiva è necessario non solo la conoscenza dei bisogni ma anche la loro comunicazione e la ricerca creativa di una soluzione Mediatrice punto” a capo
Un dato importante da ricordare è l’impossibilità di sapere ciò che l’altro sente e O pensa che è una legge psicologica si può sapere solo di noi stessi. L’unico modo di sapere dell’altro È quello di chiedere a lui ciò che vogliamo conoscere e che solo lui può comunicarci se vuole.
Pertanto la libertà è una condizione dell’essere-persona nella quale il conflitto deve essere risolto ed il super-io deve essere già stato elaborato personalizzato.
Chiediamoci quindi: qual è la condizione prima per essere liberi e responsabili?
Il punto di partenza sta nella scelta. Quando colui che sceglie è affrancato dalle costrizioni esterne o interni ed è capace di prendere una decisione a partire dalla consapevolezza del suo sentire, allora vive la libertà e la responsabilità. Per scegliere è necessario Innanzitutto percepire il proprio bisogno e il desiderio. Ad esempio la fame è un bisogno, la bella casa è un desiderio.
Per essere liberi è necessario conoscere il proprio carattere e quando non soddisfa lo si modifica per renderlo adeguato allo svolgimento dell’agire conforme al sentire.
Il bambino che aspetta la soddisfazione del suo desiderio dall’adulto è in una condizione di dipendenza nella quale non è libero né per responsabile.
Si è liberi anche quando non si è schiavi come abbiamo detto delle proprie emozioni e quindi riconoscendole e gestendole al meglio non se ne resta sopraffatti. Le emozioni non si riconoscono con l’intelletto ma con la percezione, ora facoltà psicologica legata alla spontaneità che possiamo sviluppare in una dimensione di non imposizione.
Si può essere liberi facendo ciò che si sente, ma dobbiamo avere il senso delle conseguenze delle nostre azioni e saperne rispondere a autonomamente.
E’ la consapevolezza che dà la serenità e che non significa essere felici. Serenità vuol dire anche accettare e vivere la sofferenza.
Così, il pensiero diventa libero nel momento che non è contaminato da condizionamenti esterni, dal momento che nasce in maniera spontanea, soprattutto se è legato a quello che sentiamo.
Solo quando sono capace di cogliermi nella sensazione di ciò che voglio, ciò che sento, ciò che provo, posso esprimere la libertà.
Se non riusciamo a separarci dall’altro e non riusciamo a cogliere in profondità i nostri bisogni, ciò che realmente vogliamo in un determinato momento, siamo schiavi e non liberi.
La percezione ci metti in contatto con il nostro sentire e attiva l’elaborazione, attraverso cui attingiamo al senso interno di ciò che viviamo. Questa è la via per conquistare la libertà dalle nostre emozioni, per uscire dalla schiavitù della simbiosi e dalla prigionia di un super-io troppo rigido e flessibile che soffoca la persona.
La strada della libertà è la più difficile perché è quella dell’impegno personale; ma la libertà è anche il valore più alto, il senso che io ho dato alla mia vita.
La libertà nella comunicazione presuppone che la persona sia prima consapevole di quello che sente e poi, in base a questo, si rapporta con l’altro
La persona libera non può avere un modello a cui dare la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni ma più esercita le sue funzioni psichiche tanto più si rende libero.
Così la percezione della realtà è la chiave d’accesso alla libertà e per quella ricerca e scoperta del senso di ciò che vivo.
La filosofia del Cristianesimo è più quella del servizio verso gli altri piuttosto che dell’esaltazione dei propri bisogni e desideri.
Attraverso lo psicodramma abbiamo potuto fare esperienza di situazioni vissute nelle quali il soggetto ha trovato un sua resistenza nel far emergere le proprie emozioni. La rappresentazione con l’utilizzo dello psicodramma ha permesso al soggetto di recuperare le sue emozioni e dare loro il giusto significato ovvero il soggetto (la figlia), è riuscita a rapportarsi con la madre che avrebbe voluto, una madre comprensiva che le desse la libertà di essere se stessa senza costringerla ad essere in funzione delle esigenze della madre. Si può così cogliere la distinzione tra una madre che soffre nel vedere la figlia che se ne va e lo riconosce senza colpevolizzarla e una madre ingrata che sacrifica la figlia per il suo egoistico bisogno. La madre che trattiene il figlio non permette a questi di crescere. Quello che la madre non ha concesso per ingratitudine dovrà essere conquistato da chi ha vissuto l’ingratitudine e non aspettarsi la benedizione ma prendersela da sé. Per far crescere i figli i genitori devono sacrificare il loro affetto per non trattenerli a sé. In questo gioco, spesso, si determinano i destini dei figli. Ciò fa cogliere come il cambiamento possa avvenire solo sulla base di una presa di coscienza che prima fa cambiare la persona e poi il suo comportamento e che non passa attraverso l’intelletto ma è una acquisizione emozionale. L’intelligenza, sia pur ottima cosa, non è sufficiente a livello esistenziale ai fini del cambiamento. A volte l’allontanamento è vissuto nel malessere, si vive come colpa che diventa inquietudine nel senso di non occuparsi dei genitori. Quando i genitori impediscono ai figli di essere se stessi, il figlio che se ne va, per non sentirsi ingrato, deve fare una “operazione” psicologica notevole ossia aiutare i genitori senza metterci il cuore, senza metterci il sentimento.
La guida ci indica la strada per la nostra introspezione, poi siamo noi a dover far da soli. La guida è il tramite attraverso il quale si sviluppano le funzioni, poi possiamo essere solo noi a riconoscerci fino in fondo. La chiave è nella persona. Ecco perché non si parla di interpretazione ma di elaborazione. Il sentire diventa pensiero ed il pensiero deve diventare opera che a sua volta produce il sentire. La guida non dice all’altro quello che deve essere e/o fare ma permette all’altro di riconoscere e di realizzare il se stesso. L’autonomia in tal senso è fondamentale e non ci può essere una prevaricazione, né un’ideologia ma solo la condizione di libertà nella quale la persona può esprimersi anche attraverso l’errore, affinché si conosca. La libertà sta nel senso di essere quello che si è. Questo non è un atto magico ma l’atto di coscienza e diventa lo strumento per essere liberi. Questo strumento ognuno deve costruirselo da sé e non può essere un altro che te lo dà. Metaforicamente si afferma che la vita nasce dal caos. Il caos è il momento in cui non c’è una costruzione, non c’è un ordine. I momenti di ordine e disordine si succedono con alternanza. Ognuno di noi dà senso alla propria vita attraverso la propria opera. Chi non opera non può dar senso alla propria vita. Chi è dipendente non può avere il senso della propria vita. In questa opera si è soli. Si ha certo bisogno di maestri ma questi ci insegnano fino ad un certo punto. Un aneddoto del Buddha: “Ho avuto un primo maestro ed ho imparato delle cose; ho avuto un secondo maestro ed ho imparato altre cose; alla fine sono stato da Solo a trovare la mia strada”. Si dice: “Quando incontri il Buddha uccidilo”. La frase sta a significare che per essere libero non puoi che essere solo anche se c’è bisogno di chi ti dà gli strumenti per sviluppare le proprie potenzialità.
La chiave è quindi nella persona.
Quando c’è una vera libertà interiore l’intensità di essa si tende a non disperderla; è la necessità qualitativa massima di concentrazione. Quando questo non si fa si arriva alla simbiosi con l’altro.
Il problema di oggi nelle coppie è che per libertà si intende: “faccio ciò che voglio”. Così nessuna coppia può costruirsi. Quello che manca nella nostra società è il senso del reale e si continua invece a vivere nell’ ideale. Quando osserviamo espressioni come: “Mi piacerebbe andare al cinema in compagnia” notiamo che l’errore sta nel mi piacerebbe. Il dire mi piacerebbe è al condizionale e al futuro e manca la sensazione. Così diventa simbiotico mentre è corretto: “Sono solo, mi annoio e desidero compagnia”. Questo è presente a se stesso. Il desiderio è un fatto percettivo non una cosa pensata. Vivere l’individualità e allo stesso tempo relazionarsi comporta di necessità delle regole: una morale ed un’etica. Ancora oggi si vive l’obbligo, si vivono le regole ma non vengono né concepite, né comprese.
L’uomo in questo mondo cosa può fare? L’unica cosa che può fare è quella di apprendere il metodo, per conoscere la sua via interiore per vivere. Trovare la via personale alla vita parte dalla premessa che si è già qualche cosa, e si ha una ereditarietà, una storia, una cultura, l’introiezione etc. L’uomo ha la libertà di trovarsi la via. Il metodo non dice quello che si è ma dà la possibilità di essere consapevole di chi si è e di poterlo esprimere nella maniera migliore per come si vuole e a chi si vuole. Questo è il senso della Libertà! Per ascoltarsi e capire chi si è e sapere quello che si vuole dobbiamo separarci dall’altro e dal mondo. La sensazione è nel “IO-SENTO”. Dalla sensazione posso capire chi sono. Il soggetto si sente ma lo attribuisce al fuori da sé, invece di attribuirlo alla propria soggettività. Occorre sviluppare la capacità di concepirsi sia nel piacevole che nel spiacevole e non attribuire il piacevole a se stessi e lo spiacevole all’altro oppure scartarlo. Questo processo permette di migliorare e di vivere quello che si sente e che fa uscire dalla simbiosi per arrivare a concepire ciò che io sento come mio e solo mio. Occorre riconoscere per primo quello che siamo e poi sviluppare le potenzialità che sono comunque limitate in quello che si è. In questo modo non c’è neppure l’invidia. Libero dall’invidia l’individuo vive meglio perché ha più tempo e più energie per sviluppare ciò che è. Quando si vuole essere contenti occorre esserlo in funzione della realtà e la realtà siamo noi. In quello che si è bisogna assumersi la responsabilità dello sviluppo perché si è una potenzialità e dobbiamo lavorare per sviluppare. Prima ancora del rapporto con l’altro, c’è il rapporto con il sé, IO-chi-sono. Il riconoscere quello che si è non può che passare attraverso la concezione dell’individualità. Mi devo concepire unico e solo con le potenzialità e le capacità di svilupparle.
Avere la capacità di ascoltare ciò che si sente dà anche la libertà dal giudizio altrui: ciò che l’altro vede non è ciò che io sono. La percezione di ciò che sento non è ancora ciò che sono per cui devo dargli un significato. Per far questo occorre un processo che avviene attraverso il ragionamento, il processo cognitivo, ma non la ragione o la razionalità. Questo processo è lentissimo e non da tutti praticabile, perché comporta fatica e mette in relazione con la propria origine. Il gruppo aiuta attraverso quello che l’altro comunica ad accogliere qualcosa di sé. Nel gruppo possiamo avere la percezione oggettiva della verità e della differenza. Ogni differenza ha la sua dignità in sé.
Oggi la libertà è avere la propria idea ed essere capaci di seguirla all’interno di un mondo che cambia. Il cambiamento non si può fermare! Sviluppare la propria idea in funzione del mondo richiede la separazione IO-mondo. Bisogna ascoltare e dare significato ai segnali che arrivano dall’interno di sé in modo da codificare quello che ci arriva dall’esterno. L’unica salvezza è nell’ascoltare ciò che si sente. Allora si è insieme con i nostri errori e con i nostri limiti e si vive la nostra vita altrimenti sarebbe una vita condizionata e regolamentata da altri, come è stato e ancora oggi è con la globalizzazione che ha portato il condizionamento globale.
Quanto al concetto di limite nella relazione con l’altro, si afferma che la relazione è già un limite in quanto nella relazione non si è assoluti ma si è relativi. La mia decisione non può essere più soltanto la mia ma si relativizza con l’altro. Quando si è insieme e si pensa di poter fare quello che voglio io c’è la prevaricazione. Nella relazione con l’altro si perde la libertà e l’assoluto e si entra nel relativo. L’uomo ha l’esigenza di stare in relazione ma anche l’esigenza di stare solo. Serve un equilibrio. L’essere umano non può stare isolato. Il Solo è una situazione temporanea poi l’individuo entra in relazione con il mondo e con l’altro e da qui nasce l’esigenza del come stare insieme. Il senso del reale esce dall’ideale perché il reale si rapporta con un elemento fattivo. E’ importante rendersi conto di chi si è e del reale perché spesse volte il reale sfugge e si incolpa l’altro che ci fa da verifica del nostro reale, e si diventa paranoici. Solo facendo si coglie il proprio limite. Riconoscere il proprio limite dà il senso della serenità. Significa riconoscere chi si è e richiede la capacità della distinzione e della differenziazione dall’altro. Il soggetto libero sviluppa quello che è lui in potenza. Le potenzialità le sviluppiamo in funzione del nostro allenamento, di come ci si comporta e di chi si è. Tuttavia si osserva che il limite è quello che si percepisce meno. In genere riconosciamo con difficoltà ciò che di se stessi non piace: cioè il nostro limite. La relazione serve a relativizzarci ossia a farci rendere conto di come si è e di chi si è. Chi non si relaziona crede di essere un Dio onnipotente.