LA COPPIA IN RELAZIONE

19 Novembre 2024

COME VIVERE MEGLIO LA RELAZIONE DI COPPIA

. In relazione all’altra persona, tre sono le virtù per stare insieme: la pazienza, la tolleranza, la carità. Senza queste si ha la pretesa, la prevaricazione ed il ricatto. La pazienza è quella qualità che ci serve per far sopravvivere la coppia in quanto l’altro non è mai perfetto e quindi non potrà mai non farci “soffrire”. La tolleranza è il riconoscere l’imperfezione dell’altro senza soffrire. La carità è la capacità di amare l’altro nella sua imperfezione. Con l’ideale si entra nella dimensione che tutto quello che non è perfetto è colpevole e nella auto-colpevolizzazione. Si è allo schizoidismo in quanto abbiamo separato il bene dal male. Mentre il bene e il male ci appartengono entrambi. Il problema nella relazione è che si mette in atto il fenomeno della “traslazione” cioè tutta la proiezione di emozioni e sentimenti che abbiamo vissuto durante l’infanzia e che inconsciamente si chiede all’altro di soddisfare.
. Possiamo indicare alcuni “nemici” dell’amore nel nostro quotidiano: 1) la pretesa, l’atteggiamento di chi pretende che l’altro lo ami. E’ un partire dal TU ed è un atteggiamento infantile; 2) la prevaricazione, colui che ti dice quello che devi fare o che devi essere; 3) la proiezione che si manifesta nel “io penso che tu pensi” oppure “so quello che tu pensi”; 4) la paranoia, caratterizzata dal fatto che è sempre colpa dell’altro; 5) l’aspettativa, che possiamo indicare come la pretesa di chi si aspetta che l’altro faccia quello che lui si aspetta; 6) l’egotismo, dove c’è la stima eccessiva di sé che induce ad attribuire valore solo alle proprie esperienze e a parlare esclusivamente di sé. Ci accorgiamo così che la relazione richiede una affinità. A volte la costruzione della relazione risulta impossibile per le vaste diversità tra i soggetti che escludono ogni regola e cooperazione.
Diceva V.Frankl nella sua esperienza nei campi di concentramento nazisti: “Quando ti rendi conto che non puoi cambiare il destino e che non puoi cambiare l’altro non ti rimane che cambiare te stesso”. Così se volete cambiare l’altro cambiate voi stessi per cui o l’altro cambia o si separa. Il fatto è che si fa fatica a cambiare se stessi allora si cerca di cambiare l’altro. Il cambiamento va inteso come un atto creativo, motivazionale e interiore. L’amore si manifesta nelle piccole cose. Nella relazione spesso non c’è la spontaneità bensì la mediazione che manifesta solo la mia volontà. Nella coppia puoi riuscire a comprendere i tuoi modi di essere, le tue ombre, le idee onnipotenti, le fantasie e le proiezioni che necessitano del rapportarsi con l’altro per essere comprese. L’amore non è sacrificio ma costruire insieme: ad esempio se voglio andare in un posto e l’altro non vuole, posso sacrificare il mio desiderio per corrispondere al suo. Questo però richiede la reciprocità. Lo Spirito personale si caratterizza come coscienza di sé quando si conosce sé stesso. Una dimensione spirituale che fa dell’individuo colui che sa chi è, sa cosa vuole, che direzione prendere, conosce i suoi pregi o difetti e le sue ombre. Coscienza di sé significa conoscere e la conoscenza avviene solo attraverso il lavoro che nasce dalla percezione e che poi diventa coscienza e conoscenza. La coscienza è l’immediato, il percepito: ciò che è in quanto si è, compresa l’esperienza. La conoscenza è dare senso al nostro vissuto. Questo richiede un lavoro intrapsichico che è lo Spirito. Lo Spirito cristiano non può essere intellettuale perché passa attraverso la sensibilità. L’intelletto serve a dare significato alla propria esperienza. Senza intelletto il vissuto è cieco e saremmo vittime delle nostre emozioni. L’intelletto senza sensibilità è vuoto e con l’intelletto si può giustificare tutto. Possiamo distinguere tra ragione e pensiero: la ragione è l’intelletto che mette ordine a ciò che è esterno; il pensiero è il frutto di un processo che passa dall’interno e attraversa l’esperienza. Riflettere significa flettersi in sé, parlare di sé.
L’atteggiamento Zen è quello di non aspettarsi niente dall’altro vivendo così la realtà senza aspettativa, consapevoli del proprio desiderio e basta. L’aspettativa non è una patologia, è un comportamento. Essere consapevoli che può non verificarsi un qualcosa e resto comunque attivo. Il ristrutturare è inteso come il processo necessario nel caso di una aspettativa che non si è realizzata e che richiede la virtù della pazienza. Ad esempio nella dimensione della sessualità, in una coppia, può capitare che il desiderio non corrisponda sicché uno dei due dovrà essere paziente e riconoscere che non sempre la corrispondenza ci può essere e questa è una condizione normale non patologica. Abitualmente l’individuo diventa invece aggressivo e si sviluppa la sottomissione dell’altro che si manifesta nel: “Lo faccio per te”. Non dimentichiamo che pazienza significa “soffrire” in quanto il mio desiderio non è corrisposto. L’individuo deve sapersi adeguare al contesto in cui vive altrimenti svilupperà malattie psicosomatiche. L’adeguamento non è qualcosa di scontato. Attraverso un ulteriore approfondimento dello psicodramma si è potuto osservare come spesso l’amore venga vissuto come paura di rimanere solo/a o come colpa della propria autonomia. Il saper Stare soli e l’Essere soli dev’essere un obiettivo altrimenti non si può amare e diventa dipendenza. Ci hanno educati al: “Se sei solo, sei finito”. La condizione dell’essere solo deve essere la condizione fondamentale e nell’essere solo occorre comunque riconoscere il senso del limite. L’amore incomincia nella ricerca dell’altro, che non va vista come lui mi deve dare quello che non ho. L’altro serve come verifica del sé e questa verifica è possibile purché non si parta dalla condizione del chi ha ragione e chi ha torto ma dalla condizione che ognuno ha la propria conoscenza e mettendola in comune c’è la possibilità di conoscere un po’ di più. In questa società spesso manca l’Essere-solo come base della vita e non si concepisce la separazione come un qualcosa che fa parte dell’esistenza. Figli e genitori devono comunque separarsi. Questa è una dimensione esistenziale che deve avvenire di necessità. L’autonomia passa attraverso il lavoro e la capacità di vivere il bene e il male in sé. Andarsene e diventare autonomi non significa non voler più bene ai propri genitori ma volergliene in modo diverso e dove il fondamento diventa il proprio bene e la capacità di voler bene in quanto tale. Questo permette di voler bene ad un’altra persona. Chiunque si distacca dall’origine va incontro all’ignoto, a ciò che non si conosce e questo produce la paura della non conoscenza. Ma questo è lo sperimentare la vita.
Un tema trattato in questo corso è stato anche quello sulla coppia. Se non si cresce come persona la coppia “muore”. Questo ribalta la verità. Fino ad oggi la coppia veniva prima degli individui. Oggi l’individuo prevale sulla coppia che va intesa come conseguenza dello sviluppo individuale e non viceversa. Prima per valorizzare la coppia si finiva per soffocare l’individuo. La relazione si stabilisce quando c’è un dialogo; ciò significa che io parto da una mia idea e da una mia posizione e l’altro dalla sua. Insieme costruiamo un’altra verità. Occorre porsi il problema del cosa comunicare, del come, del quando, del dove e a chi. Per comunicare devo anche essere in grado di esprimere chi sono io. Abitualmente ci si esprime in funzione di chi è l’altro facendo proiezioni. Con la proiezione avviene che lui comunica ed io comunico su quello che dice l’altro che non è quello che dico io. Così non ci si capisce. Ecco l’importanza della reciprocità e dell’alternanza, per cui uno parla e l’altro ascolta e viceversa. Quando invece ci si preoccupa di affermare se stessi sull’altro non siamo più nella comunicazione ma nella prevaricazione. Per comunicare dobbiamo uscire dalla prevaricazione e dal pregiudizio vale a dire non devo pensare a quello che l’altro è prima di conoscerlo. Ascolto significa cercare di capire l’altro e non ci si deve chiedere come poterlo capire. Lo possiamo capire ascoltando quello che l’altro ci suscita. Comunemente si cerca di capire quello che l’altro ci dice invece di capire quello che ci suscita e così finiamo nell’interpretazione che non è ascolto e discutiamo all’infinito senza capire niente. Occorre imparare ad ascoltare quello che si sente.
Se non c’è l’Emozione e/o meglio la Sensazione, ma solo il razionale, la ragione, è come colui che mangia ma non sente il gusto.

Si parla della sessualità. Si può dire che quella femminile è più sana di quella maschile in quanto è una sessualità legata all’origine della vita e si presenta più variegata interessando la corporeità in vari punti ed è legata, in genere, ad un sentimento. Quella maschile è una sessualità più aggressiva e fondamentalmente consumistica relegata all’organo sessuale. Tuttavia oggi il femminile ha sviluppato un atteggiamento aggressivo generando timore nell’uomo che ha già il “complesso” materno. Di fronte ad una donna aggressiva l’uomo si trova inibito e, se è vera la statistica degli uomini che soffrono di eiaculazione precoce, il problema nasce proprio su questa base. Infatti non si tratta di un problema organico ma psicologico e psicosomatico. Questo problema nasce dal timore del femminile o dall’ atteggiamento dimostrativo di essere “super-maschio”. Dopo alcuni rapporti ripetuti, in tale situazione, si verifica il fenomeno del circolo vizioso della paura. In tal caso occorre, sul piano psicologico, del tempo per risolvere il problema e anche una donna accanto intelligente, capace di comprendere la problematica e che sia disponibile alla collaborazione. Una sessualità sana comporta che i due si rendano conto che sono uguali ma anche diversi, stabiliscano delle regole e si godono la vita. I giovani imparano a vivere e sviluppare la sessualità a volte attraverso la pornografia che è una sessualità aggressiva e violenta senza amore, sentimento e meccanica. Alla domanda: Come vivere una buona sessualità in coppia e dopo anni di unione? Si risponde: con la creatività anche se è il concetto poco comune. La sessualità diventa noia non per la sessualità in sé quanto per i contrasti psicologici che ruotano attorno. Infatti quando non si va d’accordo si hanno ripercussioni a livello della sessualità. Bisogna separare la relazione dalla sessualità e poi ci vuole la creatività. Separare la relazione dalla sessualità significa che quando si fa l’amore si lasciano fuori le discussioni anche se non è facile. Una sessualità creativa si impara e non può essere naturale. La creatività può essere gioco, può manifestarsi nei preliminari etc. Molte persone parlano di sesso ma sesso è una parola impropria. Il sesso è quello che fa il leone in un modo e tempo preordinato. L’uomo invece svolge la sessualità dove c’è il corpo, la psiche, la passione, l’emozione e l’esperienza. Quando si parla di sessualità si parla di un bisogno dell’uomo che comprende l’aspetto fisiologico e corporeo e, l’aspetto psicologico, sentimentale, culturale e la relazione e ciò comporta di necessità sia una dimensione etica che morale. Quella morale è come io vivo la mia sessualità, quella etica e come la vivo insieme con l’altro. L’amore richiede una grande presenza di sé quando si vuole andare avanti nella maniera corretta. In ogni nuova unione fondata sul sentimento e amore si hanno nuove problematiche che sono fonte di stress. Abitualmente si crede che l’amore sia indicatore di immediata possibilità di intesa e felicità, ma non è così. Amore comparato a felicità è un falso! La felicità si costruisce lentamente e nel tempo. Quello che conta è quello che gli esistenzialisti chiamano “la presenza” ovvero “l’IO-sono”. La presenza può anche essere dibattito e contrapposizione ma con il senso del dialogo le diversità si ricompongono. l’IO- sono comporta la coscienza dei propri sentimenti e delle proprie emozioni. La pace a tutti i costi è una semi-patologia.
Quello che oggi incide nel rapporto uomo-donna è l’individualità e il diritto della propria vita al quale nessuno intende rinunciare per il collettivo. Un tempo invece l’individualità veniva sacrificata per la famiglia. Non si è preparati a vivere la vita nella prospettiva individuale. L’innamoramento ad esempio è la proiezione di ciò che pensiamo ci manchi e troviamo nell’altro. L’esigenza della famiglia nasce quando si incomincia ad instaurare il sentimento di maternità e paternità per cui ci si rende contro che questi desideri non potranno essere soddisfatti se rimaniamo da soli. Questo passaggio dell’individuo alla coppia che diventa famiglia va riconosciuto e richiede l’educazione al “limite” che è il contrario di avere la pretesa che si possa fare ciò che si vuole stando in coppia e formando la famiglia. Il termine sacrificio acquista così un senso: Io perdo la mia totale libertà. Da solo posso fare ciò che voglio e quando voglio, disponendo dello spazio e del tempo. Nel momento in cui entro in rapporto con l’altra persona nasce il limite. La famiglia è in crisi perché è assente l’educazione alla coscienza della realtà. Nessuno ci spiega cos’è l’individuo, la coppia, la famiglia e non dicono che il primo “motore” è dell’avere realtà del bisogno di ognuno. Dobbiamo chiederci se si vuole o no essere coppia, che tipo di coppia e come si vuole vivere in coppia. La crisi della coppia e della famiglia nasce dall’ignoranza. La famiglia di oggi non può che essere fondata sulla concezione della autocoscienza: due individui che si rapportano ed ognuno è consapevole della propria vita. L’altro non può mai essere oggetto ma deve sempre essere soggetto. Il punto è che la realizzazione di sé e della coppia è possibile solo quando si è entrambi capaci di essere consapevoli di quello che si è. Oggi abbiamo sostituito la coscienza con il consumismo e non si vuole riconoscere che vivere insieme è difficilissimo perché si è diversi sul piano biologico, psicologico (maternità/ paternità) e si deve poi trovare un punto in comune tra le due diversità. Il consumismo è inteso in questo caso così: ci sposiamo senza renderci conto di quello che facciamo perché così fan tutti e così la sessualità viene “garantita”. Non sempre realizzare se stessi va d’accordo con l’essere in famiglia ed ecco che nascono le conflittualità. Oggi il senso del maschile e femminile è cambiato e occorre creare un nuovo modo per stare insieme e riequilibrare i ruoli di uomo e di donna. Senza un’educazione in questo senso rimarremmo spettatori condizionati della nostra vita. È necessario educare la nostra coscienza a sapere chi si è, cosa si vuole e quali sono i nostri bisogni. La responsabilità è di esserci ma senza coscienza. Questo già lo si vede nelle fiabe dove il protagonista è sempre responsabile delle sue azioni e riceve il premio solo in conseguenza delle sue corrette azioni. Non esiste un premio per chi non ha fatto niente. Questo è il senso morale delle fiabe. Mentre noi ci raccontiamo le favolette del perdono o del tutti felici. Nelle fiabe popolari educative il protagonista deve sempre lavorare, deve meritare ciò che ha, deve avere la capacità, deve superare la prova, compiere l’impresa e finalmente sposa la principessa. Ma non basta perché incontra sempre l’invidia sociale e quindi deve superare anche quella e finalmente può essere felice. Occorre riflettere su quanto detto finora. La riflessione è la disciplina del proprio pensiero. Parlando ancora di coppia va osservato come un tempo il matrimonio era un dato implicito e si seguiva un modello. Poi questo modello è saltato e si è entrati in una condizione del tutto nuova. Oggi è come se si fosse nella foresta senza bussola e manca l’educazione alla soggettività. La soggettività significa essere consapevoli di quello che si è. E’ rivelando se stessi che si diventa liberi e quando sei libero nessuno ti può comandare. Tuttavia quando sei libero ti devi prendere la responsabilità della tua soggettività e quindi anche del tuo essere. Oggi ancora si continua a mostrare modelli esterni e a seguire un Super-Io che qualcuno ci comunica sulla base di un valore artefatto. All’interno di una relazione si deve concepire l’esistenza della relazione stessa e sapere che cos’è la relazione. Relazione significa essere relativo ossia la perdita del mio valore assoluto che ho quando sono solo. Relativo significa che ognuno deve conservare la sua personalità. L’espressione: “Lo devi fare per me” non deve esistere. Noi siamo stati educati ad una dimensione idealistica: l’uomo come dovrebbe essere. Oggi questo principio è in crisi perché con la perdita di importanza della religione si cerca di capire chi in realtà si è.
La comunicazione funziona quando si esprimere quello che si pensa. La comunicazione deve, ad esempio, essere: “Io voglio andare al cinema, tu che fai?”. Invece si parte sempre dalla domanda cercando di sapere dall’altro quello che vuole e si dà per scontato che quello che noi sappiamo lo sappia anche l’altro. Prima ci si deve presentare e poi si chiede all’altro. Comunemente si va all’altro celando se stessi. Questo non è funzionale. Funzionale è comunicare le proprie intenzioni, manifestarsi. Capita, ad esempio, che ci si incontra e nella presentazione prima di dire il nostro nome chiediamo all’altro il suo. La cosa migliore è presentarsi affinché l’altro, a sua volta, si presenti. Ognuno presenta quello che è, le proprie intenzioni ed allora si avrà il contenuto che serve a migliorare il rapporto. E’ così che c’è la presenza come un dato reale e nella presenza ci si rapporta. Un esempio. Uno dice: “Io voglio andare al cinema” e invece l’altro dice: “Io voglio andare al teatro”. Adesso e così si conosce il “campo” di battaglia. Mentre se non lo conosciamo rimaniamo sull’atteggiamento comune del: “Tu che vuoi fare?” e l’altro: “Io voglio andare al cinema e tu?”. Se l’altro dice “Ah va bene”, si può generare la situazione che si va al cinema ma il soggetto che si è espresso con il “Ah va bene” in realtà ha un altro desiderio. La prima cosa da imparare è dire: “Io penso questo, tu che pensi?”. Poi si fa la guerra ma così almeno si può mettere in campo ognuno i propri eserciti. In genere il nostro esercito lo accantoniamo, ce lo riserviamo, così mi dici il tuo e dopo ti scateno il mio. Comunemente si ha questo svolgimento dei fatti: si comunica di voler andare al cinema ma l’altro non lo desidera ed invece di comunicarlo dice che al cinema non c’è niente che valga la pena vedere. Così si comincia a discutere sull’oggetto e non si capisce il senso. Intanto che va avanti questa opera di demolizione l’altro si sente frustrato per cui venisse proposto il teatro, chi ha subito la frustrazione risponderà con un “No!”

La fiducia all’interno di una coppia si stabilisce in funzione dei comportamenti e delle azioni e non sulle parole. Il sentimento infatti vale per il presente mentre per il futuro non si può dire: ho fiducia per tutta la vita. Su quale base lo si direbbe? Per tutta la vita è più un augurio che un dato reale. La fiducia nasce con lo sconosciuto in funzione della conoscenza che si sviluppa.
Anche con se stessi quando si intraprende una nuova azione non ci si fida subito di sapere fare. Allora ci si mette alla prova e facendo bene si acquista fiducia. È chiaro che si deve partire con un livello di fiducia altrimenti neppure si comincia. La fiducia è correlata con il sentimento di responsabilità perché avere fiducia di un’altra persona comporta che questa fiducia può anche venire tradita più o meno volontariamente. Riguardo all’affettività ci possono essere tanti traumi vecchi, sofferenze e risentimenti che possono spingere il soggetto a tirar fuori energie di rivalsa dalle quali non c’è un ritorno. In tal caso la spinta del soggetto è radicata nelle sue emozioni che consumano le sue energie ma non producono una creatività. Prima o poi ci sarà una “depressione” ed un ritorno al punto di partenza. Occorre pertanto sviluppare l’amare come disposizione connessa al livello del nostro sviluppo interno. È necessario che si riesca ad amare la nostra vita.
Cosa significa stare insieme? Stare insieme, essere in relazione è ciò che è relato ossia è relativo. Si esce quindi dalla dimensione dell’assoluto, dell’onnipotenza, per entrare in una dimensione di relativizzazione dove l’IO non è più il tutto. Quando ci si rapporta con l’altro il nostro IO non può essere assoluto e quindi la prima cosa che si deve fare è mettersi in “crisi”, ossia riconoscere che non possiamo avere sempre ragione. Inoltre nei rapporti, chi sono io non è detto che sia la cosa giusta. Il mettersi in crisi permette di ascoltare se stessi e l’altro.
Riguardo alla fedeltà, Kant diceva che l’uomo per inclinazione non è fedele. La fedeltà è una legge morale. Il punto è il passaggio dalla natura alla cultura. Così la fedeltà è una libera scelta ed è una regola che la coppia deve condividere. Oggi nel caos nel quale viviamo l’unica regola è essere fedeli a se stessi. La gelosia consapevole è la paura di perdere ciò che si ama e non è una forma di insicurezza. La paura esiste perché nessuno può garantirci che l’altro stia sempre e per sempre con noi. Così va riconosciuta la possibilità della perdita e vissuto il rischio come un dato reale. Nel rapporto non deve mancare il senso-di-vigilanza che equivale al trovare la soluzione migliore per il mio stato interno prima ancora che trovarlo nell’altro, visto che l’altro non si può modificare. Allora si vive la vita con il nostro sentimento e gli diamo un colore personale. Quando si vive la vita con le razionalizzazioni si cercano le spiegazioni alla vita già date che non sono nostre e non dipendono dalla nostra esperienza e sensibilità. Riuscire a vivere, attraverso la percezione, il nostro sentire ci permette di fare esperienza della vita. Questa è l’educazione psichica che parte dalla auto-percezione.
Ora usiamo due termini: morale ed etica. Usiamo poi un termine che li accomuna: il senso. Abbiamo ad esempio il senso di colpa che è del senso etico. Senso significa non qualcosa che nasce come imposizione ma che richiede un’educazione per sviluppare le sue potenzialità. Il senso di colpa è innato in noi. Ci si sente in colpa quando si sbaglia. Si tratta di un fatto personale e soggettivo. Allora ci si chiede come si fa a stabilire quando sbagliamo. Non può essere una cosa arbitraria. Ci sentiamo in colpa quando trasgrediamo le regole che ci diamo. La morale esiste e per morale intendiamo quell’insieme di regole che ognuno di noi si dà. Per darsi queste regole c’è bisogno di una maturità. Mentre l’etica sono le regole che si sceglie di condividere. L’etica è un modo di stare insieme e non è più solo un fatto personale. All’interno di un gruppo ad esempio una regola etica può essere quella che si parli uno alla volta. L’etica è la regola che nel vivere comune ci si dà e alla quale si aderisce consapevolmente. L’etica è un fatto non naturale ma culturale. La morale sono le regole personali di come si vuole vivere. All’interno di un rapporto di amicizia ad esempio riteniamo giusto dirsi quello che si pensa e non dire le bugie. Questa è una regola morale che l’altro potrebbe anche non rispettare. Così mi posso sentire in colpa verso l’altro ma anche verso me stesso. Ad esempio, verso l’altro: rubo soldi all’amico e nella mia idea di amicizia è una cosa che non si fa. Il mio amico lo può sapere o no ma comunque io mi sento in colpa perché è una mia regola. Il senso di colpa serve ad essere coerenti con le regole che ci si dà. La colpa è positiva perché ci fa correggere l’errore. A volte ci può essere conflittualità tra la morale e l’emozionalità. Decido ad esempio di essere fedele al mio amico però poi ci sono pulsioni che mi portano lontano. Kant diceva che la pulsione è molto più forte della regola che mi do. La morale è nata come esigenza interna dell’uomo per vivere meglio. Non va quindi giudicato l’altro se ha regole morali diverse dalle nostre. Tuttavia ci mette in luce che non si può stare con chi non condivide le nostre regole. Il senso di colpa riguarda me e le mie regole; il senso di responsabilità riguarda le regole comuni. L’etica riguarda l’insieme; la morale riguarda il soggettivo. Noi abitualmente intendiamo morale come le regole comuni alle quali si deve obbedire. È difficile sviluppare sia il senso morale che etico personale perché è in noi presente il processo di interiorizzazione di quelle regole che abbiamo acquisito involontariamente. Quando non si coglie questa interiorizzazione si continua a credere a quello che gli altri ci hanno detto. Può sorgere il problema che qualora non condivido le regole del gruppo, si rischi l’isolamento. Non tutti hanno la capacità di vivere la frustrazione dell’isolamento o dell’emarginazione. La prima morale ricordiamo nasce dal tabù; è la morale del sì e del no. Oggi abbiamo una morale quale espressione di una interiorità, le regole che ci diamo, e alle quali crediamo e partecipiamo come funzione e formazione. Nella criticità personale un elemento che salva la persona è la possibilità di vivere la consapevolezza della propria interiorità. Questa è la salvezza. Questo appartiene solo alla persona e non è del mondo ma è nell’interiorità dell’uomo e ci permette poi di vivere la diversità serenamente. Se io sono nel mondo in modo disordinato, dove non c’è pace ma inquietudine, certamente mi perdo. La salvezza è nella mia interiorità. All’interno dell’interiorità poi scompare la colpa di essere qualcosa di diverso da quello che la gente si aspetta. Spesso il senso di colpa nasce sulla base della diversità. Il superamento del sentimento di colpa che in molti casi si associa ad un sentimento di inferiorità è dire: “Io sono!”. Così dalla colpa si pasa alla responsabilità. Non è la colpa di chi sono ma la responsabilità di chi sono. Riconoscendo chi si è si esce dalla colpa e ciò comporta di necessità il riconoscimento del proprio limite. La responsabilità e il senso di realtà ci danno la serenità in quanto si è quello che si è e non si crede di essere altro da questo e non si ha la colpa di quello che si è. Occorre educarsi al proprio senso nella psiche in quanto si è unici e originali. La nostra identità non è paragonabile a nessuno perché è la nostra. La consapevolezza dell’unicità comporta la responsabilità di sviluppare l’unicità di sé. Quello che crea confusione è il conformarsi ad un modello esterno. Questo è il vero peccato, poiché il conformarsi ad un qualsiasi modello è snaturare la propria persona. Il senso della relazione, formazione ed educazione è proprio quello di sviluppare la capacità di essere se stessi, di percepirsi, di conoscersi e realizzarsi il più possibile per quello che si è senza cadere nella onnipotenza. La persona deve passare dal buio alla luce, dall’inconscio alla coscienza.

La relazione è unicità formata da due diversità. È proprio questa unicità e diversità presenti allo stesso tempo che richiedono una particolare attenzione nell’agire quotidiano affinché si possa stabilire la relazione il più possibile autentica. Nella mia esperienza in coppia si sono presentate molteplici situazioni che hanno richiesto di rielaborare di volta in volta i vissuti al fine di ricavarne un utile e prezioso esempio sul quale poter riflettere per cercare di migliorare il vivere in relazione. Nonostante la coppia fosse stata caratterizzata da un lavoro individuale di sviluppo della coscienza di sé, non sono mancati momenti di conflittualità, incomprensioni e allontanamenti che hanno reso precaria la relazione, generando disarmonia e insoddisfazione. Ritengo quindi che, nonostante il lavoro che ognuno fa su di sé e la presenza della componente affettiva senza la quale non si potrebbe neppure intraprendere un cammino insieme, non sempre la presenza di questi elementi è sufficiente a garantire un buon risultato. È proprio su questo particolare aspetto dell’esatta percezione della realtà personale e della capacità di stabilire una relazione di possibilità che oggi concentro la mia attenzione. Nella coppia si possono vivere momenti di gioia, armonia, complicità, passione e amore. Ciononostante, può accadere che non si riesca nel cammino di crescita insieme. Allora mi chiedo: “Non è sufficiente l’affettività, la condivisione, l’autonomia per vivere la coppia?” Può la mancanza di corrispondenza e di desiderio pregiudicare lo sviluppo di una relazione di coppia?” Ci vuole, forse, quello che a volte abbiamo definito “feeling” ossia quel quid che permette alla coppia di ritrovarsi negli stessi interessi, di avere un livello culturale affine, e di sentirsi quindi affini? Le domande sono tante e penso vada da sé cogliere quanto difficile sia lo stare insieme al quale non siamo educati. Allora una coppia per vivere e non sopravvivere necessita innanzitutto di una struttura individuale per arrivare poi ad una struttura di relazione che richiede, secondo me, il sentimento, la presenza, l’energia, il desiderio di condivisione, la capacità di elaborare le difficoltà e di tradurle in atti creativi.

. Ricordiamo che un tempo la famiglia determinava la coppia, oggi è la coppia a determinare la famiglia. Un tempo i matrimoni erano combinati in funzione della decisione dei genitori anche se vigeva la regola che ci voleva comunque una certa conoscenza dei promessi sposi di alcuni anni, il fidanzamento. Oggi il matrimonio è diventato una decisione presa dall’individuo. Le persone, per poter stare insieme, devono conoscere i loro sentimenti e cogliere la possibilità che vi sia una affinità. L’essere-coppia implica la coscienza di ciò che voglio e il bisogno della relazione. Fino ad oggi si è stati educati a concepire la relazione in funzione dell’altro e a vedere i nostri bisogni e desideri in funzione dell’altro. La coppia è una costruzione e la costruzione richiede la partecipazione di entrambi i soggetti. Oggi ancora si parla di protezione e di sicurezza sociale; due elementi che non sono più attuali. La simbiosi si ha quando un soggetto cerca l’altro non per stabilire una relazione ma per stare insieme e non stare da solo. Oggi la convivenza è diventata un surrogato di una responsabilità che si vuole evitare. Lo stare insieme in relazione richiede un cambiamento ed occorre anche la giusta distanza. Bisogna che l’altro, così come noi per l’altro, ha un suo mondo, i suoi interessi, le sue amicizie.
Oggi si vivono i rapporti come un qualcosa che viene consumato e questo accade perché non si ha il senso della persona ma quello del consumo. Si è pertanto nella dimensione dello sfruttamento e dell’inganno. Il rapporto per avere il suo valore ha bisogno di contenuti; le regole e la relazione comporta anche che il soggetto metta in crisi alcuni dei suoi principi. Il problema di oggi nelle coppie è che per libertà si intende: “faccio ciò che voglio”. Così nessuna coppia può costruirsi. L’innamoramento, che viene soprattutto in età giovanile e in modo intenso, ha la funzione di permettere di superare la paura dell’altro, del diverso che non si conosce. Un tempo si passava dalla conoscenza alla sessualità oggi si ha prima la sessualità poi viene, se viene, la relazione. Quello che manca nella nostra società è il senso del reale e si continua invece a vivere nell’ ideale. Quando osserviamo espressioni come: “Mi piacerebbe andare al cinema in compagnia” notiamo che l’errore sta nel mi piacerebbe. Il dire mi piacerebbe è al condizionale e al futuro e manca la sensazione. Così diventa simbiotico mentre è corretto: “Sono solo, mi annoio e desidero compagnia”. Questo è presente a se stesso. Il desiderio è un fatto percettivo non una cosa pensata. Vivere l’individualità e allo stesso tempo relazionarsi comporta di necessità delle regole: una morale ed un’etica. Ancora oggi si vive l’obbligo, si vivono le regole ma non vengono né concepite, né comprese. Osserviamo che l’autonomia: l’essere e sapere stare solo, fino a che non si è conseguita, spaventa l’individuo e per questo molti restano nella simbiosi. La separazione e distinzione IO – TU richiede che il soggetto sia capace di stare solo e viversi bene lo stare solo. Il passaggio di stato dalla simbiosi all’essere solo è per certi versi tragico. Tragico è ad esempio il momento di cambiamento nella coppia che si separa, quando il coniuge, la madre o il padre muore. La simbiosi è un occultamento dell’incapacità di sviluppare la propria personalità. C’è da dire che non esiste l’individualista che possa vivere solo il se stesso poiché c’è l’esigenza naturale che porta all’incontro con l’altro. L’Essere Solo è una condizione che fa vivere il limite stesso nell’essere solo e porta alla ricerca dell’altro. Occorre, però, essere capace di andare all’altro senza voler far tutti e due le stesse cose: essere un cuore e una capanna ma bensì due cuori e due capanne. Poi ci si mette insieme. La simbiosi prima ancora di essere un fatto oggettivo e fisico è un atteggiamento psicologico. Ad esempio quello che sta solo e pensa all’amico o all’amica non sa riflettere e si trova in una forma di simbiosi. Il rapporto con l’altro è un rapporto con uno sconosciuto; mentre nell’innamoramento siamo simili e facciamo tutto insieme. Questa è una specie di follia perché si programma il futuro a partire da un’illusione che nell’innamoramento è un alterazione della capacità percettiva. Anche la sessualità oggi viene vissuta diversamente rispetto al tempo passato. Addirittura si parla di “sesso” come qualcosa di scollegato dalla persona e dalla personalità, la funzione fisiologica che bisogna soddisfare. In questo senso abbiamo il consumo della sessualità.
Un tempo il sesso era collegato all’interno di tutta la personalità: al carattere, al sentimento, alla relazione, alla conoscenza. La sessualità completava l’incontro con l’altra persona e il rapporto era visto come un qualcosa che aveva una finalità. Oggi, soprattutto negli adolescenti, il rapporto è fine a se stesso: viene soddisfatto un singolo episodio, la sessualità e li si finisce. La sessualità è stata individualizzata ed estraniata dal sentimento. Oltretutto il sentimento richiede una maturità e un’esperienza nonché una gradualità. Lo psicodramma serve a mettere in luce questi aspetti secondo la spontaneità invece della concettualizzazione.
Sul tema della temporalità in questo corso si è partiti dal punto di vista culturale; da un tempo in cui la coppia non esisteva, né esisteva l’individualità. La metafora è quella del Re di Francia del 1800. Questi non stava mai solo neppure nel momento dei bisogni intimi. Poi con l’industrializzazione si è sviluppato il senso dell’individualità e l’individuo è venuto in primo piano fino all’esaltazione dell’individualità stessa che però ha portato ad una forte confusione. La relazione viene concepita come un noi, un essere in due e ci si domanda come porre l’IO nella relazione. Occorre che la persona sia autonoma, capace di vivere la propria vita, altrimenti si entra nella dimensione simbiotica con l’altro, nella negazione della persona, della soggettività e della individualità. Per persona consapevole si intende la persona capace di riconoscere i propri bisogni e la relazione stessa diventa un proprio bisogno. La metafora: Io vado al ristorante non perché esiste ma perché ho fame, implica il senso di responsabilità. Nel caso del ristorante, ho la responsabilità di dover sapere cosa voglio mangiare e anche la responsabilità di prendere ciò che mi danno in funzione di quello che sento. Ricordiamo che un tempo la famiglia determinava la coppia, oggi è la coppia a determinare la famiglia. Un tempo i matrimoni erano combinati in funzione della decisione dei genitori anche se vigeva la regola che ci voleva comunque una certa conoscenza dei promessi sposi di alcuni anni, il fidanzamento. Oggi il matrimonio è diventato una decisione presa dall’individuo. Le persone, per poter stare insieme, devono conoscere i loro sentimenti e cogliere la possibilità che vi sia una affinità. L’essere-coppia implica la coscienza di ciò che voglio e il bisogno della relazione. Fino ad oggi si è stati educati a concepire la relazione in funzione dell’altro e a vedere i nostri bisogni e desideri in funzione dell’altro. La coppia è una costruzione e la costruzione richiede la partecipazione di entrambi i soggetti. Oggi ancora si parla di protezione e di sicurezza sociale; due elementi che non sono più attuali. La simbiosi si ha quando un soggetto cerca l’altro non per stabilire una relazione ma per stare insieme e non stare da solo. Oggi la convivenza è diventata un surrogato di una responsabilità che si vuole evitare. Lo stare insieme in relazione richiede un cambiamento ed occorre anche la giusta distanza. Bisogna che l’altro, così come noi per l’altro, ha un suo mondo, i suoi interessi, le sue amicizie.
Oggi si vivono i rapporti come un qualcosa che viene consumato e questo accade perché non si ha il senso della persona ma quello del consumo. Si è pertanto nella dimensione dello sfruttamento e dell’inganno. Il rapporto per avere il suo valore ha bisogno di contenuti; le regole e la relazione comporta anche che il soggetto metta in crisi alcuni dei suoi principi. Il problema di oggi nelle coppie è che per libertà si intende: “faccio ciò che voglio”. Così nessuna coppia può costruirsi. L’innamoramento, che viene soprattutto in età giovanile e in modo intenso, ha la funzione di permettere di superare la paura dell’altro, del diverso che non si conosce. Un tempo si passava dalla conoscenza alla sessualità oggi si ha prima la sessualità poi viene, se viene, la relazione. Quello che manca nella nostra società è il senso del reale e si continua invece a vivere nell’ ideale. Quando osserviamo espressioni come: “Mi piacerebbe andare al cinema in compagnia” notiamo che l’errore sta nel mi piacerebbe. Il dire mi piacerebbe è al condizionale e al futuro e manca la sensazione. Così diventa simbiotico mentre è corretto: “Sono solo, mi annoio e desidero compagnia”. Questo è presente a se stesso. Il desiderio è un fatto percettivo non una cosa pensata. Vivere l’individualità e allo stesso tempo relazionarsi comporta di necessità delle regole: una morale ed un’etica. Ancora oggi si vive l’obbligo, si vivono le regole ma non vengono né concepite, né comprese. Osserviamo che l’autonomia: l’essere e sapere stare solo, fino a che non si è conseguita, spaventa l’individuo e per questo molti restano nella simbiosi. La separazione e distinzione IO – TU richiede che il soggetto sia capace di stare solo e viversi bene lo stare solo. Il passaggio di stato dalla simbiosi all’essere solo è per certi versi tragico. Tragico è ad esempio il momento di cambiamento nella coppia che si separa, quando il coniuge, la madre o il padre muore. La simbiosi è un occultamento dell’incapacità di sviluppare la propria personalità. C’è da dire che non esiste l’individualista che possa vivere solo il se stesso poiché c’è l’esigenza naturale che porta all’incontro con l’altro. L’Essere Solo è una condizione che fa vivere il limite stesso nell’essere solo e porta alla ricerca dell’altro. Occorre, però, essere capace di andare all’altro senza voler far tutti e due le stesse cose: essere un cuore e una capanna ma bensì due cuori e due capanne. Poi ci si mette insieme. La simbiosi prima ancora di essere un fatto oggettivo e fisico è un atteggiamento psicologico. Ad esempio quello che sta solo e pensa all’amico o all’amica non sa riflettere e si trova in una forma di simbiosi. Il rapporto con l’altro è un rapporto con uno sconosciuto; mentre nell’innamoramento siamo simili e facciamo tutto insieme. Questa è una specie di follia perché si programma il futuro a partire da un’illusione che nell’innamoramento è un alterazione della capacità percettiva. Anche la sessualità oggi viene vissuta diversamente rispetto al tempo passato. Addirittura si parla di “sesso” come qualcosa di scollegato dalla persona e dalla personalità, la funzione fisiologica che bisogna soddisfare. In questo senso abbiamo il consumo della sessualità.
Un tempo il sesso era collegato all’interno di tutta la personalità: al carattere, al sentimento, alla relazione, alla conoscenza. La sessualità completava l’incontro con l’altra persona e il rapporto era visto come un qualcosa che aveva una finalità. Oggi, soprattutto negli adolescenti, il rapporto è fine a se stesso: viene soddisfatto un singolo episodio, la sessualità e li si finisce. La sessualità è stata individualizzata ed estraniata dal sentimento. Oltretutto il sentimento richiede una maturità e un’esperienza nonché una gradualità. Lo psicodramma serve a mettere in luce questi aspetti secondo la spontaneità invece della concettualizzazione.
. La fiducia si acquisisce quando si è capaci di vivere da soli e di sopportare la frustrazione della non fiducia e/o del tradimento della stessa. Per far questo devi essere capace di vivere il tuo essere-solo. Allora soffri ma non arrivi alla disperazione perché si è nella dimensione dell’Essere e dell’Esserci che è più importante rispetto alla coppia. La coppia ti rende completo nell’accezione esistenziale, emotiva, ma tu sei comunque e sempre il fondamento di te stesso. Ancora non si è sviluppato bene come si vive in due. La fiducia bisogna anche sapersela conquistare e vi deve esserci corrispondenza. La fiducia nella relazione significa ad esempio che se si stabilisce un patto questo venga rispettato. Oggi la fiducia è portare a conoscenza il sentimento all’interno della relazione. E. Erickson diceva che il sentimento di fiducia si sviluppa nel primo anno di età nel rapporto con la madre. Una volta che ci si rende conto della propria sfiducia sorge il problema ma anche la possibilità della propria auto-affermazione. Dopo l’infanzia, la fiducia in sé si acquista lentamente attraverso il successo delle proprie azioni. Chi ha fede instaura rapporti che hanno il senso del calore, della disponibilità e dell’andare verso. Chi non ha fiducia ha sempre il timore, l’accusa, il pregiudizio. Diventa difficile per chi non ha fede instaurare un rapporto d’amore. Tante persone che non hanno fede infatti non riescono ad amare. Avere fede è fondamentale per amare. Il fondamento dell’amore è la fede; la fiducia, come tutte le cose belle, è fragile e può essere tradita in qualunque momento, da chiunque. Tuttavia se non si corre il rischio non si vive l’amore. Occorre separare il fatto e la persona esterna da quello che si sente. L’evento non ci travolge anche se non ci lascia indifferenti.
La relazione senza dinamica non esiste! La morte in un rapporto di coppia è la non corrispondenza.
La fiducia è un sentimento proprio, l’altro non c’entra; è un modo di essere della persona che si pone in relazione. La fiducia si acquisisce quando si è capaci di vivere da soli e di sopportare la frustrazione della non fiducia e/o del tradimento della stessa. Per far questo devi essere capace di vivere il tuo essere-solo. Allora soffri ma non arrivi alla disperazione perché si è nella dimensione dell’Essere e dell’Esserci che è più importante rispetto alla coppia. La coppia ti rende completo nell’accezione esistenziale, emotiva, ma tu sei comunque e sempre il fondamento di te stesso. Ancora non si è sviluppato bene come si vive in due. La fiducia bisogna anche sapersela conquistare e vi deve esserci corrispondenza. La fiducia nella relazione significa ad esempio che se si stabilisce un patto questo venga rispettato. Oggi la fiducia è portare a conoscenza il sentimento all’interno della relazione. E. Erickson diceva che il sentimento di fiducia si sviluppa nel primo anno di età nel rapporto con la madre. Una volta che ci si rende conto della propria sfiducia sorge il problema ma anche la possibilità della propria auto-affermazione. Dopo l’infanzia, la fiducia in sé si acquista lentamente attraverso il successo delle proprie azioni. Chi ha fede instaura rapporti che hanno il senso del calore, della disponibilità e dell’andare verso. Chi non ha fiducia ha sempre il timore, l’accusa, il pregiudizio. Diventa difficile per chi non ha fede instaurare un rapporto d’amore. Tante persone che non hanno fede infatti non riescono ad amare. Avere fede è fondamentale per amare. Il fondamento dell’amore è la fede; la fiducia, come tutte le cose belle, è fragile e può essere tradita in qualunque momento, da chiunque. Tuttavia se non si corre il rischio non si vive l’amore. Occorre separare il fatto e la persona esterna da quello che si sente. L’evento non ci travolge anche se non ci lascia indifferenti.
La relazione senza dinamica non esiste! La morte in un rapporto di coppia è la non corrispondenza.
. Necessaria è anche l’autonomia. La relazione senza dinamica non esiste! La morte in un rapporto di coppia è la non corrispondenza.
Altro importante aspetto dell’amore è quello di uscire dal bisogno fisiologico e dare ad esso il dato affettivo senza tuttavia rimanere in un amore platonico e solo sentimentale. Dire che l’altro è a me sconosciuto non è facile perché si traduce il non-sapere come non-amore. Nella nostra società se non sei simbiotico sei emarginato e vige l’omologazione e l’uguaglianza. Per uscire dal condizionamento occorre usare la propria creatività. Questo è il difficile perché poi si rimane soli e spesso isolati e non è facile. Occorre sviluppare la creatività per sopravvivere perché altrimenti si va nella depressione. La necessità di comunicare pone poi il problema di trovare il mezzo adeguato affinché ci sia una comunicazione chiara. La comunicazione nasce dalla interiorità. Questo implica la necessità di un lavoro introspettivo e la ricerca di un metodo in quanto si può esprimere solo quello che si conosce di sé. Abitualmente si parla su quello che l’altro ci dà e non si ha la capacità di vedere quello che si sente. Non va dimenticato che restare completamente in una condizione di essere-solo può portarci a vivere il mondo in modo paranoide. Il mondo va capito in base alle nostre personali ed uniche sensazioni: l’altro serve per comprendere meglio la realtà in quanto possiamo avere degli errati giudizi sulle nostre impressioni e sulle nostre sensazioni. L’altro serve per la verifica. La sensazione permette di esplorare il mio mondo interno, non può essere vista ma solo percepita. E, come l’esploratore si allena a vedere e conoscere il nuovo, così noi dobbiamo allenarci alla percezione della sensazione che è una potenzialità che diventa atto quando noi la si percepisce. Per comprenderla occorre saperla percepire. Attraverso la sensazione si conosce l’inconscio che è la manifestazione di un qualcosa che non è razionale, né frutto di ragionamento ma è la manifestazione di quello che si è. Qualsiasi cosa si vada ad esplorare l’anticipazione è sempre effimera e non dà mai la certezza di niente. Il vero esploratore è colui che è aperto al mondo, si prepara al nuovo e poi riesce a dare senso al nuovo. La disponibilità alla comprensione è un qualcosa di fondamentale, un atteggiamento necessario verso la vita. Giudicare è restrittivo mentre la comprensione è una possibilità di ampliamento. La comprensione richiede la riflessione mentre il giudizio è solo l’attribuzione di un dato personale al mondo esterno; la rigidità che ci lascia nell’ignoranza e nella non comprensione. Attraverso il concetto di separazione IO – TU si arriva alla costruzione della propria identità. Essa porta all’ atteggiamento di ascolto, alla non prevaricazione, al riconoscimento della diversità e ad un migliore rapporto. In tal modo si vive meno ansia, meno paura e si arriva ad un comportamento che può funzionare in una relazione. La separazione IO – TU diventa la possibilità di conoscersi e di sviluppare il benessere personale per poi rivolgersi all’altro con la coscienza di sé.

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