L’ importanza della comunicazione consapevole

L'importanza della comunicazione consapevole - dott Gabriele Campanella psicologo Ancona

24 Ottobre 2024

La società contemporanea sviluppa l’intelletto e il razionale, così si ha sempre una razionalizzazione delle nostre emozioni. Creare se stessi e la capacità di esprimere chi siamo e comunicarlo. Per essere qualcosa dobbiamo avere la capacità di trasformare l’elemento grezzo che è l’emozione, in una forma comunicabile. Per trovare il senso occorre partire dalla sensazione che è la definizione di un momento del personale flusso di coscienza. La sensazione non è solo quella bella ma anche quella spiacevole. La possibilità di conoscenza può partire anche dallo spiacevole. Attraverso l’esperienza che significa esperire ossia sperimentare, agiamo in un contesto e produciamo qualcosa che poi suscita dei segnali interiori che sono il vissuto. Il vissuto va significato. La vita non è nella ragione ma nella propria affettività, nei propri bisogni, i propri desideri e nella propria storia ed esperienza. Il contrario dell’inconscio è la presa di coscienza, e la spiritualità è la capacità di dare senso alla presa di coscienza. Lo spirito è il pensiero che può essere valido Quando è agganciato alla coscienza. Allora possiamo parlare di comunicazione consapevole. Oggi l’eroe psicologico è colui che è capace di sviluppare il senso dello spirito: la propria creatività. Per far ciò occorre un lavoro di individuazione: concepirsi come Individui e definirsi in sé e per sé, per rapportarsi con il collettivo senza proiezione. Eroe psicologico non significa essere isolato ma essere tra “solo” in relazione. Per pensare, infatti, c’è bisogno dell’altro altrimenti si ha sempre ragione. Il pensiero personale da solo non basta per cogliere tutta la realtà, ed occorre la comunicazione del pensiero altrui per ampliare la nostra esperienza e definire meglio la propria realtà è quella dell’altro. Quindi c’è una reciprocità e cooperazione. Così, nel linguaggio psicologico possiamo tradurre in tre momenti essenziali della Trinità: l’Essere ossia il Sé; la manifestazione; la comunicazione. Ci sono dei segnali Ad esempio la sensazione, i sentimenti, i sogni che non ci danno ancora il significato di quello che ci accade attraverso. Attraverso la riflessione arriviamo a capire il significato dei segnali interiori e così formuliamo il pensiero personale che nessuno, tranne noi, conosce ne vede. Questa è la manifestazione e/o la coscienza di sé. Questa poi la comunichiamo rendendo gli altri partecipi del nostro essere. Comunicare il nostro vissuto presenta un doppio vantaggio: esplicitare se stessi come momento della personalizzazione e la comunicazione del vissuto personalizzato che viene messa in relazione. Questo permette di sviluppare individualità nella relazione. Osserviamo, così, come il nostro vivere sia in una doppia dimensione: di ricettivi e stimolanti. Osserviamo anche come nel mondo odierno l’intellettualismo e l’astrazione sono sempre più ampi, diffusi e ciò determina una riduzione della percezione del limite e della realtà. Gli esempi di astrazione, attualmente, sono: internet, la telefonia, la televisione e la comunicazione via mail. La relazione Quindi si stabilisce quando c’è un dialogo; Ciò significa che io parto da una mia idea e da una mia posizione e l’altro dalla sua. Insieme Costruiamo un’altra verità. Occorre porsi il problema di cosa comunicare, del come, del quando, del dove e a chi. Per comunicare devo anche essere in grado di esprimere Chi sono io. Abitualmente ci si esprime in funzione di chi è l’altro facendo proiezioni. Con la proiezione avviene che lui comunica ed io comunico su quello che dice l’altro che non è quello che dico io. Così non ci si capisce. Ecco l’importanza della reciprocità e dell’alternanza, per cui uno parla e l’altro Ascolta e viceversa. Quando invece ci si preoccupa di affermare se stessi sull’altro non siamo più nella comunicazione ma nella prevaricazione. Per comunicare dobbiamo uscire dalla prevaricazione dal pregiudizio vale a dire non devo pensare a quello che l’altro è prima di conoscerlo. Ascolto significa cercare di capire l’altro e non ci si deve chiedere come poterlo capire. Lo possiamo capire ascoltando quello che l’altro ci suscita. Comunemente si cerca di capire quello che l’altro ci dice invece di capire quello che ci suscita e così finiamo nell’interpretazione che non è ascolto e discutiamo all’infinito Senza capire niente. Occorre imparare ad ascoltare quello che si sente. Così per arrivare al bene comune c’è bisogno della comunicazione del dialogo. È necessario che ciascuno conosca se stesso e lo comunichi all’altro. Abitualmente si pretende che l’altro capisca quello che desideriamo. L’altro non potrà mai sapere quello che io voglio perché occorre comunicare ciò che piace e non piace. Solo così si può realizzare, per quanto possibile, il bene e l’amore è l’interno della propria vita ed anche all’interno della relazione. Un elemento importante è quello dello sguardo che nella comunicazione non verbale è il 50% di un contenuto. Se si intuisce lo sguardo dell’altro, si può imparare molto della persona. Il bene è non criticare l’altro ma cercare di capire l’altro a partire proprio da quei segnali che sono involontari e inconsapevoli e non guidati dalla ragione. Con le parole si può mistificare, con la corporeità questo non è possibile. Nei primi incontri con l’altro è opportuno cogliere la comunicazione non verbale. Purtroppo a questo non siamo educati e diamo più importanza alle parole che spesso non corrispondono a ciò che si è e che si vuole esprimere. Quello che si deve capire è che se io ho un interesse verso l’altra persona, affinché possa farmi da lei e conoscere, più sono naturale tanto meglio è. A volte la paura del giudizio porta ad un’alterazione. Naturale significa essere consapevoli di esprimere nelle situazioni quello che si è. La rigidità porta ad una maggiore possibilità di errore e con essa ci si difende da se stessi. L’emozione è la paura di quello che l’altro può pensare; questa paura nasce dalla proiezione. Eliminando la proiezione si riesce ad essere naturale. Eliminare l’elemento proiettivo significa rimanere concentrati in se stessi e pensare a come esprimere se stessi nella comunicazione consapevole consapevole. Oggi ancora si continua a mostrare modelli esterni e a seguire un Super io che qualcuno ci comunica sulla base di un valore Artefatto. All’interno di una relazione si deve concepire l’esistenza della relazione stessa e sapere che cos’è la relazione. Relazione significa essere relativo ossia la perdita del mio valore assoluto che ho quando sono solo. Relativo significa che ognuno deve conservare la sua personalità. L’espressione: lo devi fare per me, non deve esistere. Noi siamo stati educati ad una dimensione idealistica Cioè l’uomo Come dovrebbe essere. Oggi questo principio è in crisi perché con la perdita di importanza della religione si cerca di capire chi in realtà si è. La comunicazione consapevole e funziona quando si esprime quello che si pensa. La comunicazione deve, ad esempio, essere: io voglio andare al cinema, Tu che fai? Invece si parte sempre dalla domanda cercando di sapere dall’altro quello che vuole e si dà per scontato che quello che noi vogliamo lo sappia anche l’altro. Prima ci si deve presentare e poi si chiede all’altro. Comunemente si va all’altro celando se stessi. Questo non è funzionale. Funzionale e comunicare le proprie intenzioni, manifestarsi. Capita, ad esempio, che ci si incontra Nella presentazione prima di dire il nostro nome chiediamo all’altro il suo. La cosa migliore è presentarsi affinché l’altro, a sua volta, si presenti. Ognuno presenta quello che è, le proprie intenzioni E da allora si avrà il contenuto che serve a migliorare il rapporto. E così che c’è la presenza come un dato reale e nella presenza ci si rapporta. Un esempio. Uno dice: io voglio andare al cinema e invece l’altro dice: io voglio andare al teatro. Adesso e così si conosce il campo di battaglia. Mentre se non lo conosciamo rimaniamo sull’atteggiamento comune del: aperte “Tu che vuoi fare? E l’altro: Io voglio andare al cinema e tu? Così se l’altro dice Ah va bene si può così generare la situazione che si va al cinema ma il soggetto che si è espresso con va bene in realtà ha un altro desiderio. La prima cosa da imparare è dire: io penso questo, Tu che pensi? Comunemente quindi si ha questo svolgimento dei fatti: Si comunica di voler andare al cinema ma l’altro non lo desidera ed invece di comunicarlo dice che al cinema non c’è niente che valga la pena vedere. Così si comincia a discutere sull’oggetto e non si capisce il senso. Intanto che va avanti questa opera di demolizione l’altro si sente frustrato per cui venisse proposto il teatro, Chi ha subito la frustrazione risponderà con un no! Occorre quindi riconoscere il limite poiché l’individualità non si può trasmettere Ma si può soltanto comunicare. E non è detto che l’altro capisca. La trasmissione del senso diventa una propria responsabilità: come mi comporto? Come parlo? Che linguaggio uso? La responsabilità ci fa rendere conto anche dei limiti che prima venivano concepiti come un fattore negativo mentre oggi diventa un valore. Incontri il tuo limite e sai che oltre a quello non puoi andare. Questo sapere è una fortuna. Il percorso quindi è: fatto-sensazione-elaborazione- pensiero-comunicazione consapevole. Nel sentire, nell’elaborare e nel pensare, l’altro non c’entra niente. L’altro entra quando io comunico ciò che è frutto del mio processo di consapevolezza. Nella elaborazione c’è un misto tra la percezione e il pensiero logico perché il pensiero è una formulazione logica che si attua con le regole della logica. Queste regole non sono presenti nella percezione che è un qualcosa di soggettivo. La difficoltà diventa il comunicare all’altro quello che abbiamo sentito e che riguarda solo noi. Quindi non dico all’altro: tu mi hai detto una cosa sbagliata ma si dice: mi sorprende quello che dici. L’altro problema che si verifica spesso e che si finisce per dare una risposta simbiotica che riguarda l’altro. Punto così Un conto è dire: Non mi piace il tuo tono un altro e dire sei un imbecille perché usi quel tono. L’altro è solo lo stimolo e il fine. Io devo dire all’altro ciò che prova Finché l’altro possa capire quello che ha prodotto. Quando non si fa questo processo non c’è rapporto.. io dico ciò che è mio All’altro l’altro fa lo stesso con me così ognuno esprime se stesso a partire dall’elaborazione del suo sentire. Bisogna comunicare in modo comprensibile che se non comunichiamo bene la responsabilità e la nostra. L’altro mi aiuta a capire meglio me stesso e diventa uno strumento di verifica di ciò che io penso e faccio. Purtroppo, si è educati al sentire esterno perché l’uomo si è sempre dovuto preoccupare ed occupare dell’esterno cercando di prevenire quello che fuori succedeva e così l’interesse per l’interiorità dell’uomo è scaturito da pochi anni. Con il processo di elaborazione-analitico-creativa il desiderio di essere conosciuti dall’altro ed autentico desiderio di comunicare. L’altro è diverso da me ed io non so cosa pensa a meno che l’altro non me lo comunichi. Sia invece la tendenza a cercare di capire che cosa l’altro pensa e siccome non ci si riesce Ce lo inventiamo. Cercare di sapere quello che l’altro Pensa è un atteggiamento proiettivo e la proiezione non dà alcun risultato, diventa un alterazione dello stato di realtà.

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